Un terreno lunare su cui sono posate alcune colorate uova di dinosauro, uno specchio dentro al quale vi è un ponte che collega il deserto lunare ad un bel cielo azzurro cosparso di nuvolette. Il cielo lunare per contro è rosso sangue. Rosso di sera bel tempo si spera. Ma anche no! Questo è death metal cribbio! I casi sono due: i Monstrosity volevano suggerire che con il loro nuovo album avrebbero aperto un ponte di collegamento con il futuro a cielo terso del metal estremo, evolvendosi rispetto ad altri dinosauri in estinzione, oppure che sulle illustrazioni degli album non avevano voce in capitolo. Più probabile la seconda ipotesi: la copertina fa schiettamente pena.

L’abito non fa il monaco, ma la copertina fa death metal.
Per fortuna in questo caso il noto detto non vale.

Forti di una sezione ritmica potenziata e rinvigorita, molto più dinamica e sul pezzo rispetto all’esordio Imperial Doom, e altresì sul punto di salutare lo storico cantante, il gruppo di Tampa compone un album da novanta, in cui è presente il meglio di ciò che la Florida aveva sin lì espresso in campo di metallo macabro. George Corpsegrinder Fisher ci delizia con una prova vocale superlativa prima di abbandonare la baracca per entrare nei Cannibal Corpse, il resto della band non è da meno. Con un suono inspessito e tendente al brutal, dinamico e vario, i Monstrosity pubblicano un compendio sul death metal americano del tempo: accelerazioni improvvise, decelerazioni spacca-cervicali, atmosfere doom e sulfuree, assoli al fulmicotone (vietato non scriverlo!) e ritmi marziali degni del miglior Pete Sandoval. E poi Fragments of Resolution, caso più unico che raro di una ballata death metal, nonché pezzo migliore del lotto.

Per tutti i marci amanti del genere imperativo il recupero, nonostante le uova di dinosauro colorate in copertina.

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