Il titolo dell'album è di quelli che fanno sobbalzare, per lo meno chi non può fare a meno di pensare che quella formuletta sia inscindibilmente legata al celebre album dei Pantera di quasi 20 anni fa. Il sesto album della prog band italiana arriva dopo l'ottimo "Songs from the Lighthouse", lavoro eterogeneo ma sempre ruotante sul perno progressive, saldamente ancorato alle consolidate capacità musicali del gruppo.

Con "A Vulgar Display of prog" i Moongarden valicano decisamente il confine e si ritrovano sul lato sperimentale della luna. Con esiti non sempre positivi.

Se dal punto di vista prettamente tecnico, dagli arrangiamenti alla ricercatezza dei suoni, si segna un ulteriore passo avanti, il risultato sonoro-emozionale non convince, o quanto meno non entusiasma. La carica energetica e le contaminazioni di genere spingono il gruppo all'avanguardia sì, ma a scapito della notevole ispirazione emotiva e melodica che aveva contraddistinto i precedenti lavori.
La splendida voce di Baldini Tosi è sacrificata ad adattarsi alle nuove esigenze stilistiche, e questo è il primo peccato imperdonabile.

Il voto 3 è puramente indicativo. Il voto corretto sarebbe 3,75, perchè è un buon album, ma ampiamente al di sotto delle possibilità della band.

Si parte con "Boromir", che già preannuncia tutt'altro che fasti. "Aesthetic Surgery" rivela invece tutte le capacità della band: pochi fronzoli, nessuna velleità, i MG fanno quello che sanno fare. Cattiveria, convinzione, un riff a metà brano che risuona inizialmente ostico ma poi rivela tutta la sua efficacia, un finale travolgente con un ottimo assolo, purtroppo uno dei pochi presenti e davvero incisivi.
"MDMA",semplice ed efficace, comunica prima ancora di voler stupire: e ci riesce.
"Wordz and Badge", "Demetrio and Magdalen" e "Enter the modern Hero" riempiono l'album senza esaltare, fino alla traccia (la chiamiamo suite?) conclusiva "Compression", oltre 16 minuti in cui si susseguono vari fasi sperimentali, senza però mai davvero lasciare il segno. Dalla voce femminile (?) che finisce per infastidire, alla virata "dance" (unico momento davvero godibile), al finale con un'improbabile voce addizionale simil-rap a rovinare una trama musicale che di per sè non sarebbe neanche male.

L'album lascia l'amaro in bocca, soprattutto a livello emozionale. La voglia di sperimentare non deve sopraffare e nascondere le naturali capacità della band di coinvolgere e stregare l'ascoltatore, come accaduto in diversi episodi precedenti. Se no diventa velleità, o puro leziosismo.

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