Calma.

Prendo un bel respiro e tutto il tempo di cui ho bisogno. Chiudo a chiave la stanza dove sono, un bel litro di coca&rum, cellulare spento e impianto con i controcazzi. Cerco l'atmosfera giusta, che l'appuntamento è di quelli importanti.

Un disco dei Motorpsycho è sempre un evento, ma stavolta di portata eccezionale: un doppio cd con un sassofonista e un'intera orchestra? E per di più dopo una serie di dischi non esattamente innovativi, ed in pieno trip progressivo? Roba da non credere.

Diventati a suon di uscite (più di una trentina tra dischi ufficiali di cui parecchi doppi, live ed Ep) uno dei gruppi più importanti della scena alternativa, fautori di concerti incendiari di tre ore pieni zeppi di jam ed improvvisazioni (qualche anno fa assistetti all'esecuzione di The Wheel dilatata per oltre 35 minuti, di cui buona parte fatta di una sola nota ripetuta all'infinito giocando su una spettacolare dinamica) i norvegesi MP hanno sempre stupito per la loro scelta di cambiare rotta ad ogni nuovo lavoro.

Ora un disco massacrante, ora uno ai limiti del pop (spesso ampiamente superati) ora uno lisergico per poi inventare un loro personale stile impossibile da imitare.

Diventati un quartetto (anche se non ufficialmente) al posto del solito trio e sostituito il batterista, i nostri hanno comunque sfornato dischi validissimi, benché il precedente Heavy Metal Fruits non avesse aggiunto nulla di nuovo a quanto detto fino a quel momento. Dopo il quarto episodio dei live in chiave jazz, eccoci all'Opera Magna, alla sfida più grande della loro carriera dopo il divertissment country dei The International Tussler Society di parecchi anni fa.

Booklet cartonato, copertina in tipico stile musica classica con sfondo bianco e scritte in bella mostra, questo lavoro di snoda per 13 canzoni, che solo a guardarne la durata mette timore (e a non dire che noi assidui fan ne siamo ormai più che abituati).

Un po' per la presenza dell'orchestra e un po' per la struttura, ci vuole poco per capire che questo è uno di quei pezzi di musica che va ascoltato per intero, concentrati almeno per i primissimi ascolti, per poi potersi concedere il lusso di skippare qua e la per le tracce preferite, ma solo una volta assimilato nella sua interezza.

Si parte con una intro di soli fiati, per poi apprezzare subito l'intera orchestra al lavoro, specialmente gli archi, capitanati dal virtuoso Ola Kvernberg Il resto, che vi dico, è un delirio sonoro di Musica con la M maiuscola, 85 minuti in cui il termine tanta robba sarebbe perfino riduttivo.

Ci sono cose splendide ed emozionanti (Oh Proteus - A prayer, che con il suo gemello Oh Proteus - A lament sa tanto di In the wake of Poseidon dei King Crimson), momenti completamente orchestrali (Sculls in limbo), assoli di chitarra infiniti (splendido sulla mazzata da 16 minuti divisi in 3 movimenti Through the veil), parti progressive come sei i Blue Cheer andassero a nozze con i Genesis, facendosi un baffo delle prog band attuali (e di questo non mi stupisco, vista la chimica che si crea nelle improvvisazioni live soprattutto tra i due della vecchia guardia) e tanto, tanto altro.

Non sto qui a dire che sia un disco perfetto, tutt’altro; e nonostante lo abbia ascoltato e riascoltato, ogni volta trovo una sfumatura nuova, un passaggio fondamentale che mi ero perso, un'idea nascosta, e questo è tipico delle grandi produzioni e dei dischi monumentali. E' comunque una tappa importante nella carriera dei MP e forse la più importante, quella che conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che questi norvegesi possono davvero FARE QUELLO CHE VOGLIO con gli strumenti.

Il gruppo non SUONA con l'orchestra, ma si FONDE completamente con essa, dando quasi l'impressione che chitarra/basso/batteria siano strumenti da sempre presenti in un ensemble dedito alla musica classica. Magistrale anche la prova di Ståle Størlokken, sopraffino sulla intro e su La Lethe, un pezzo scritto e orchestrato per esaltare il sax e le sue malinconiche melodie.

Parti di canzoni si rincorrono tra loro e sono pregne di richiami l'una dell'altra, con melodie ricorrenti e temi che tornano, scompaiono per poi tornare ancora prepotenti con arrangiamenti diversi, e mai che si possa dire che un'idea sia banale o scontata.

Sharks parte come se fosse una bonus track di Let them eat cake ma presto si tramuta in una delicata song dal violino pizzicato, per poi mutare ancora in un crescendo gotico quasi wagneriano; il tutto fa da preludio allo strepitoso finale, di cui non posso non far menzione essendo il pezzo forte del disco e il degno epilogo di un viaggio senza ritorno, due pezzi MP che più MP non si può, e anche se quale sia la loro vera faccia non ve lo saprei dire: sai com’è, la qualità non sai descriverla ma quando la incontri la riconosci.

Parte Munity e non ci sono dubbi su chi sta suonando. L'orchestra quasi scompare e sembra non sia mai esistita, fa capolino la band degli ultimi due dischi con una cavalcata segnata da un basso vertiginoso, un flauto in sottofondo e un ritmo che non lascia scampo ai nostri colli e farà parecchie vittime in sede live, ma la cosa che più mi ha sconvolto è il passaggio da atmosfere cupe e quasi tetre a queste che sembrano richiamare una nuova rinascita e quindi decisamente più....fammi pensare....positive (in fondo la vita è bella anche se la nostra ragazza ci ha lasciato, no?? O almeno così dicono...).

Otto minuti e mezzo che tra virtuosismi vari e pezzi dai tempi sincopati ci conducono per mano alla conclusiva Into the mystic, delirio sonoro in 3/4 da 7 minuti e passa che è un po' la summa di tutto il disco, con parecchi richiami a temi precedenti (e chi è avvezzo al prog sa di cosa parlo).

Un happy end a tratti quasi folk che lascia dentro l'ascoltatore la gioia di vivere, il pensiero positivo e la sensazione che tutte le cose negative richiamate in precedenza siano svanite nel nulla, e che valga comunque la pena provarci a viverla, 'sta vita.

In conclusione, questo è senza dubbio l'opera più ambiziosa dei norvegesi, un lavoro che dimostra una maturazione senza precedenti e comunque un disco ostico e non poco, decisamente non per tutti e arrivo a dire neanche per tutti i fan dei MP; necessita del suo tempo, del giusto mood e della corretta attitudine per essere recepito, ma che presto si rivela un (ennesimo) caposaldo fondamentale per la band e per la cultura musicale di chiunque.

Un ascolto impegnativo ma che offre ampie soddisfazioni. In attesa del prossimo viaggio, chissà come e chissà dove.

Claudio Scortichini

Track list:

- CD 1 –

01 Out Of The Woods

02 The Hollow Lands

03 Through The Veil

04 Doldrums

05 Into The Gyre

06 Flotsam

- CD 2 –

01 Oh Proteus – A Prayer

02 Sculls In Limbo

03 La Lethe

04 Oh Proteus – A Lament

05 Sharks

06 Mutiny!

07 Into The Mystic

Bent Seather – bass & vocals

Hans Magnus “Snah” Ryan– guitars & vocals

Kenneth Kapstad – drums

Ståle Størlokken

Trondheim Jazz Orchestra

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