Ci sono dischi che ascolti la prima volta distrattamente, in pomeriggi con le finestre aperte, senza molta convinzione, pensando a mille inutili scocciature. Ma ti accorgi, man mano che le canzoni si susseguono e che il sole si abbassa, ti accorgi che ti stai facendo ipnotizzare. Alla fine è scuro, ma non accendi la luce. Basta quella del diamante.
My Brightest Diamond è Shara Worden. È un disco di undici pezzi intensi, laceranti, che lasciano il segno. È una voce spettacolare per le sue capacità di farsi duttile, di modularsi, di toccare timbri diversissimi, di passare da sfumature intimistiche ad aperture sofisticate ed estroverse. È il connubio tra un oscuro indie rock e arrangiamenti orchestrali, tra un'anima dark e una operistica. È la prima Bjork new wave, è la PJ Harvey più spettrale, è una Beth Gibbons più esibizionista consegnata a un'orchestra di aspiranti suicidi.
Ci sono pezzi guidati da chitarre cupe che poi si aprono a operette da camera ("Magic Rabbit", "Something Of An End", "Golden Star"), c'è un senso di stravaganza anarchico ed estroso ("Freak Out") che poi lascia spazio a uno spirito raffinato e melodrammatico ("Dragonfly"), c'è una depressione con basi portisheadiane che si accompagna a un'orgogliosa sbozzolatura da volteggi liberty con le mani, in un'aria buia come la notte ("The Good And The Bad Guy": splendida).
Avete gli archi sopra il dark, avete Kate Bush e Siouxsie Sioux. Siete storditi, non sapete se nel bene o nel male. "Gone Away" è uno dei pezzi più lancinanti che io abbia mai ascoltato: l'abisso messo a nudo, il malessere guardato allo specchio e intrecciato in ghirlande, l'inverno scorticato. Un pezzo che mette i brividi. Gli strumenti hanno la stessa fredda eleganza del rigor mortis di un poeta povero, e la fisarmonica ghignante, alla fine, è come una lama, anche se la voce si mantiene orgogliosa fino quasi al compiacimento.
Il fatto è che la voce della Worden fa sì che i pezzi dicano in tre minuti un mucchio di cose, incontenibili. Le cose peggiori e il loro grottesco ribaltamento. Si mimetizza, Shara, si cambia di abito, come una trasformista. Sa essere razionale e ubriaca, lucida e disorientata, con effetti su chi ascolta di un'eccitata confusione. "We Were Sparkling", senza percussioni, pilotata da una chitarra introversa e sinistra, sbilanciata nel finale da un carillon, è il colpo finale. È scuro, ma non accendi la luce: non avrebbe senso.
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