”Francuzzo devi andare a Roma. Roma, la capitale della Cina!”

Iniziamo nel migliore dei modi, sbracati sin dall’ inizio per un prodotto che trasforma in parodia i film stessi che vorrebbe parodiare talmente è efficace l’ approfondimento chirurgico del regista. Nando Cicero: mai fu più comunicativo il nome di uno dei più grandi registi di tutti i tempi, perchè è facile muoversi etereamente in un contesto raffinato-artistico, trattando temi e problemi esistenziali esposti intimamente, un altro conto è essere come un autentico chef che da uno sputo ti tira fuori una squisita pietanza.

Insomma, di solito più si smuove la merda e più puzza, invece qui constatiamo allegramente che col Nando l’ emulsione scaturita dalla movimentazione organico-filmica produce un olezzo frizzante. Ed ecco che qui casca l’ asino: il controllo della merda è dato a pochi eletti e il “soggettone” regista in esame è la cartina tornasole che smaschera tutti quei registi (tanti) da salotto borghese. I vari registi di “serie A” (non faccio nomi adesso per non innescare crisi di nervi) con i loro papponi onirico-onanistici (in sostanza dei pipparoli passivi) hanno menato per il naso da sempre gli spettatori insultandoli con farneticazioni intellettualoidi e giudiziali molto spesso cadendo nella stessa retorica cattolico-borghese del “fai quello che ti diciamo di fare e non fare quello che facciamo noi”, camuffando la rappresentazione della realtà con la loro visione distorta e deviante e con una disturbante presenza della loro vanità. Dunque dobbiamo tenere sempre presente la sottile linea, in questo caso marrone, che separa la merda dalla cioccolata.

Ed ecco che qui si abbraccia realmente la condizione ermetica del sotto che è uguale al sopra e viceversa e la si ottiene dal bilanciamento perfetto che il Cicero, con la sua messa a punto fatta di cazzeggio, mistificazione, esaltazione e sano coattismo, cucina nel suo forno alchemico, coadiuvato dall’ attiva partecipazione degli attori che coscientemente capiscono e si divertono.

E ci ritroviamo tutti a ridere a crepapelle, piegati in due con le lacrime agli occhi, in questi irresistibile mix di trovate grevemente scintillanti dove la presa per il culo si autolegittima. E tra tutti ‘sti registi che spacciano il divino ma anelano al bocchino finalmente uno che un peto la chiama scorreggia e non flautolenza, uno che non si dà tante “arie”.

Detto questo entriamo nel vivo di un’ opera che riesce ad affiancare e superare persino un campione della lungaggine delle riprese come Kubrick. L’ estenuante tour de force a cui Stanley sottometteva i malcapitati inferiori nel ripetere parossisticamente, fino allo sfinimento, ogni singola scena per arrivare alla perfezione (la sua perfezione), è ridimensionata dagli esilaranti tempi espansi di Ku Fu dovuti al fatto che non si riusciva a finire di girare le scene perchè continuamente interrotte dall’ ilarità prodotta al momento. Per farla breve quando giravano si ammazzavano dal ridere al punto quasi di non riuscire a completare la ripresa se non dopo innumerevoli tentativi.

E poi il dipanarsi del racconto è un fulgido esempio di maiuetica socratica dove le domande e le risposte mirano unicamente al raggiungimento della verità: “Kon Chi Lay? Lho Kon Te!”

Solidi valori e schemi classici sono mitologicamente riportati: buoni e cattivi che si fronteggiano per conquistare il posto bandito dal Comune che permetterà di “comandare Roma” - l’ abnegazione alla causa di Franco e la devozione verso il Maestro, “devi baciare la mia di mano, non la tua!”, la filosofia definitiva di vita snocciolata da uno stratosferico Gianni Agus, “nella vita mi sono sempre fatto i cazzi miei”, le mire espansionistiche che dettano decisioni repentine, “Chi vincerà avrà il posto e sarà il padrone di Roma!”.

Riprese, inquadrature, movimenti di camera risultano impeccabili, se la vogliamo vedere anche dalla parte della pignoleria cinematografica, a volte gratuita, che sta appresso alla forma e non alla sostanza. Soltanto a un cazzaro di prima categoria poteva venire in mente di fare ingoiare la spada con la punta che fuoriesce dal culo, annesso sguardi perplessi degli stessi performers.

Il potpourri è servito: un’ accozzaglia di deliri inaspettati, indefinibili, improbabili ci accompagnano senza tregua sui binari della trascendenza: “Spezzami questo ramoscello con un sol colpo! Ma quello è un albero...” - “Mi manda Don Vito. E chi è? Il Mandarino di Sicilia” - “Ho saputo per vie asiatiche del concorso a Roma” - “Non sarai mai un cinese!” - Ku Fu? Kung Fu, in dialetto cinese appunto” - “Kung Fu, ma che sarà, un fungo cinese?” - “Zikke zakke zikki ze imparate il karatè, zikke zakke zikki zu imparate in Kunghe Fu” - Kikakamai, Tuttilitui e Vaffà - Kekor Nuto. Ed ancora l’ equivoco della “mano di travertino”, la doccia di vino di Jimmy il fenomeno, il duello a colpi di birre, il trancio della porchetta, i vermicelli, il contrabbando di riso, la testa del ristoratore, l’ agopuntura, le urla improvvise, Aldo Marama...

Ma ne vogliamo parlare della pantomima di Franco Franchi che farebbe la sua figura sia nei film di Sergej Paradjanov sia come ballerino di Michael Jackson.

Non foss’ altro che dalla scena della rappresentazione teatrale cinese, ai testi antichi fedele, riprodotta da Irina Maleeva, capiamo alfine dove Richard Benson abbia preso spunto per i suoi spettacoli ortofrutticoli. E l’ usuraio che getta, trent’ anni prima, la luce su quello che ci ha combinato l’Euro: “Cosa può rovinare un uomo o una nazione? Il protesto.”

Ma è la lungimiranza del film che colpisce, specificatamente nella scena dove il maestro (Agus) passa in rassegna gli atleti palesando una fine ingloriosa e dolorosa per un’ eventuale sconfitta e chiedendo una conferma battagliera si ritrova un riscontro sconfortante: “Se continuate così quel torneo voi non lo vincete. Volete non vincerlo? Sìììììììì. Ma come sì... No! I vostri avversari ve ne faranno di tutti i colori, c’ è Attila che ha detto che vi fa quello, lo volete voi? Sììììììììì!”...

Dunque il film a mo’ di oracolo divinizza la situazione attuale della condizione umana: Volete voi che l’ attuale specie che controlla e inquisisce il tutto continui a farci il culo con le scie chimiche, la geoingegneria, i vaccini avvelenati, la nanoingegneria, la distruzione sistematica dei valori, la moda gender e le punture alla triptorelina, l’ OGM, la nuova carta d’ identità elettronica col consenso automatico alla donazione degli organi, ecc. ecc.? Sìììììììììì! Ma come sì... La rassegnazione alla corruzione e al degrado morale è il propellente degli ingordi ignoranti, ed è così che chi tace, chi non lotta, chi pensa ai “cazzi suoi” diventa causa del male.

Il camuffamento esotico-burlesco del film espleta anche una funzione di somma umanità e cioè l’ avvertimento che la realtà che ci circonda non è come ce la vogliono far credere e perciò esclamerebbe Cicero, e io con lui: “Farlocchi, ve la date ‘na svegliata?”

Ed il prodotto cinematografico si rivela per quello che è, un film “esoterico” dove il messaggio invisibile si manifesta non tramite apparizioni di cavalli turchesi ma di sonore scorregge.

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, con Ku Fu zoppichiamo bene...Campione d’ incassi al tempo, mantiene indissolubile la cintura nera a tutt’ oggi.

“ ‘Sti romani c’ hanno scambiato pe’ turisti.” AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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