A Napoli, esiste l'arte di arrangiarsi. Professione che annovererei tra le arti nel senso assoluto del termine, tra chi eccelle nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nella musica. Per alcuni casi proporrei un premio per il miglior artista del genere e magari vari sottopremi per le categorie di qualità, dal miglior trucco, al migliore ingegno, dal miglior profitto, al migliore espletamento dell'opera in termini di velocità/azione.

A Napoli, quando ancora si moriva di fame ci si arrangiava con qualunque cosa capitasse a tiro. Dalle briciole dei dolci raccolte e rivendute in coppette di carta, ai finti disabili con tanto di carrozzella per entrare allo stadio gratis, dai "kamikaze" che si fanno investire dalle auto a velocità ridotta per incassare il premio assicurativo e farsi qualche mesetto al caldo in ospedale a colui che smonta le manopole di ottone dei treni per poi rivenderle al miglior offerente. Se ne potrebbero citare milioni di opere come queste ma è proprio su un treno che si configura l'arte in Cafè Express, dell'autore Michele Abbagnano, venditore (abusivo ovviamente) di caffè et similia sull'espresso per Napoli via Vallo della Lucania, tutti i giorni, A/R, seconda classe fumatori, binario imprecisato.

Sul convoglio che sonda il sud in notturna, tutti conoscono Michele (Nino Manfredi), tranne i controllori di Vallo della Lucania che ne hanno solo sentito parlare e che stanno cercando di acciuffare a seguito di un comunicato-telex dal Ministero dei Trasporti per esercizio abusivo e quindi truffa ai danni delle FS. Michele è furbo e sa come muoversi per non cadere nella rete dello Stato. All'occorrenza, un pò per intenerire, un pò per salvarsi dalle situazioni più impervie, sfoggia un guanto nero che ricoprirebbe un pugno di legno, derivante da mano perduta in tragedie differenti: dalla pressione di due respingenti, passando per un salvataggio in un incendio fino alla battaglia di Stalingrado. In base all'atmosfera e alle esigenze.

Michele ha pure un figlio (Giovanni Piscopo) a cui badare che è scappato dal collegio ritrovandoselo in treno. Incontra carabinieri, suore, amanti, altri operatori dell'arte de quo, come il finto prete o la finta donna incinta che nasconde nel pancione generi di elettronica all'ultimo grido di importazione giapponese e a prezzi modici. Tra un caffè normale, uno lungo, un cappuccino e una schidionata sconto comitiva si imbatte in un gruppetto di ladruncoli impegnati a nebulizzare i contanti di malcapitati passeggeri. L'offerta dei malavitosi è quella di collaborare, in cambio di lire ventimila, segnalando i clienti con il malloppo più allettante da ripulire al momento in cui lo stesso estrae il portafoglio per pagare un caffè. Michele non accetta e col diniego attira contro le ire dei borseggiatori oltre a quelle dei ferrovieri.

Il povero Abbagnano è braccato e grazie ad uno scherzo becero degli scippatori si consegna alla polfer ritrovandosi tra le spire dell'inquisitore: L'Ispettore Capo del Ministero. All'uopo tenta l'ultimo disperato salvataggio evidenziando, sul pietoso andante, il blasonato pugno di legno. L'integerrimo ispettore (Adolfo Celi), conosce già i trucchi del povero diavolo e in una scena davvero toccante, nel contesto tragicomico della pellicola, svela l'arcano. La mano è paralizzata e lo dimostra picchiandola violentemente sulle pareti della carrozza, maldicendo l'arroganza dello Stato nello schiacciare un indifeso che si arrangia per campare. Il colletto bianco cede e Michele evita la galera anche grazie ad un presunto malore del figlio, che evoca il finale di "Ladri di biciclette" continuando ad esercitare perchè in fondo non vi sono elementi utili all'incriminazione.

Bellissimo film in perfetto stile Nanniloyesco, quasi interamente girato tra i corridoi ancora puliti e accoglienti di un treno espresso. Tra gli altri interpreti di questa tragicommedia, tra camei e ruoli di rilievo, una bella fetta di una delle migliori generazioni di attori napoletani. Vittorio Caprioli, Antonio Allocca e Vittorio Mezzogiorno per i borsaioli, Gerardo Scala e il maceratese Silvio Spaccesi per i ferrovieri, Marisa Laurito, Marzio Honorato, Vittorio Marsiglia, Lina Sastri e Gigi Reder per i passeggeri. Musiche di Giovanna Marini. Viva le FS, Abbasso Trenitalia. Opera da incorniciare.

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