Quanti culi femminili hanno fatto da soggetto/oggetto alle copertine dei dischi? Non so. Migliaia, abbozzo. Sui quelli maschili invece riesco a dare risposta: uno, quello di Pippo Franco sul suo demenziale esordio discografico “Cara Kiri” del 1971, il disco di “Cesso” con liriche a cura del fuoriclasse Gigi Proietti, da ascoltare.
Ma non divaghiamo: il quindicesimo album dei Nazareth (1984) eccolo qui. La premiata ditta tiene botta negli anni ottanta, si piega alle esigenze commerciali e soniche dell’epoca, ma non si spezza. Tra sequenze di sintetizzatore e boom e splash elettronici, si apre la strada la familiare vociaccia proletaria di McCafferty, vero corpo estraneo rispetto alle tendenze plasticose e danzerecce che la attorniano.
Fra gli episodi che mi piacciono spicca “Moondance” (che non è quella di Van Morrison): begli accordi nel refrain, rotondi arpeggi di elettrica. Non fiammeggia, ma brucia lentamente e scalda l’animo. E poi la cornamusa celtica che arruola pure la chitarra nelle sue spire, a condurre la ballata casereccia (cioè scozzese) “Love of Freedom”, sino al finale però sfumato troppo presto, proprio quando tutto stava andando in toccante e sonora catarsi.
Le altre composizioni originali sono tutte più o meno disco rock, apprezzabili melodicamente (poche, ma evidenti linee di facile memorizzazione) ma sciagurate ritmicamente, capaci di prosciugare l’ottimo calore rock che questa formazione ha quasi sempre saputo mettere nella sua semplice, ma sincera musica.
L’opera si rifugia anche in un paio di cover, che però non sono il massimo. La nobile “Ruby Tuesday” degli Stones, velocizzata e convertita in dance melodico, non se po’ sentì; le cambiano anche qualche accordo… sacrilegio! Trattamento migliore viene riservato alla originariamente psichedelica (molto Jefferson Airplane, butto lì) “Road to Nowhere” della Carole King d’annata 1966: stravolta sì, ma con robuste venature rock ed adeguati chitarroni a stemperare la rigidità ritmica del drone disco che la sostiene.
Barcollano ma non mollano i maturi Nazareth, nell’occasione aspiranti paraculi ma non mollaccioni. Chi glielo fa fare, visto che le moltitudini seguono per lo più altri, più freschi idoli? Ah, saperlo! Infatti la pianteranno più in là, ricominciando a fare rock duro più cattivo di prima. Ma per ora è presto e tocca accontentarsi di quest’opera che guarda a destra a sinistra sopra e sotto, inseguendo il suo tempo senza riuscire a cavalcarlo.
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