La voglia di rappresentare i menestrelli del morboso e del truculento deve aver dato l’idea al duo Anders Jakobson e Rickard Alriksson di mettersi a suonare e quale genere migliore se non un perfetto incrocio tra death metal e grindcore?

“Pathological Performances” è la testimonianza che certifica la riuscita delle buone intenzioni dei due giovani (all’epoca, quando correva l’anno 1993) svedesi di belle speranze, speranze rispettate e non tradite, visto anche il proseguo di carriera nel mondo della musica estrema.

Sfuriate grind senza economia di blast beat alternate a lunghi tappeti di doppia cassa dal gusto tipicamente death convivono con sadiche melodie, alcune veramente macabre, aggettivo usato non tanto per dare un tono alla recensione (cosa che comunque è importante fare), ma alquanto appropriato perché il flauto (sì flauto!) all’inizio di “Acute Pyencephalus and Cerebral Decomposure” è veramente macabro. Il minutaggio delle canzoni premia il lato death del gruppo a discapito di quello grind, infatti si viaggia su bei pezzoni dalla durata di tre-quattro minuti con il picco dei sette della traccia precedentemente menzionata.

In tutto ciò l’influenza dei Carcass è palese, non a caso nel ’94 uscirà l’album di cover “Necronycism: Distorting the Originals”, omaggio ai maestri e agli altri maestri (Napalm Death), ma nei Necrony non è presente quella vena rock’n’roll che nei Carcass si paleserà definitivamente in “Swansong”, prevale il DNA più death ortodosso, con un vocione da gruppo quasi brutal e le chitarre che iniziano a ronzare come motoseghe svedesi impazzite quando uno meno se lo aspetta. A sottolineare la “svedesità” ci pensa la produzione di Dan Swanö, in questo caso tocca a lui e non a Tomas Skogsberg. Superfluo infine parlare degli argomenti dei testi, basta infatti guardare la copertina per farsi un’idea al riguardo.

Questo è l’unico album di inediti del gruppo perché quello che inizialmente doveva essere solamente un progetto parallelo insieme a tal Mieszko Talarczyk prese il sopravvento, ma questa come si suol dire è un’altra storia, dal finale purtroppo triste.

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