I solchi che attraversano le mie mani sono quasi liberi: i granelli della sabbia gelida che ho stretto per qualche ora sono andati via e non ci sono più. Resta l’odore di mare, selvatico, e questo fluttuare nero e incessante che ho davanti e che sprigiona esalazioni di rassegnazione. Così funziona con la morte, io ormai mi vedo circondato. I granelli svaniscono, come polvere, come la fine che ci accomuna tutti. Lasceremo una traccia, si spera (o forse no), come quell’odore di mare che non se ne va e che puoi metterci tutto il sapone liquido che vuoi ma non lo risolvi, è lì, manco fossi un pescatore.
Pescando musica, quella stessa sera, siamo finiti in due in un mare di lacrime salate e rabbia indigesta. Di pugni contro il muro e calci contro le ante di un armadio che stamattina è stato ritirato dall’omino del furgoncino dei rifiuti di grandi dimensioni che qualcosa avrà pensato e che ha sentito tutte le parole che non abbiamo proferito ma abbiamo detto con le palpebre. S’è fatto i cazzi suoi, ha capito.
Condannati a morte nel vostro quieto vivere, oltre ad essere una verità che non si può scalfire, è il secondo EP dei torinesi Negazione, targato 1985, che va a fare il paio con l’energia fuori controllo di Tutti pazzi. Si tratta di cinque pezzi che fanno a pezzi. Che trasmettono disagio già in una situazione psicologica di normale ascolto. Se stai male, inizi a latrare, schiumare e menare contro l’aria. E la senti quest’aria, i fendenti attraversano qualcosa, l’impercettibile repentinamente diventa calzante, attraversabile, qualcosa contro cui poter riversare il proprio conato di frustrazione. Non voglio intrecciare un encomio di quella che per me è stata la più diaframmatica band dell’hardcore italiano, che anche in questo lavoro ha spinto motoseghe e melodia in combutta a fare l’amore con l’alienazione. Voglio solo riconoscere alla musica, astranedola dai suoi immediati contesti di pertinenza, un ruolo cruciale e di grande immediatezza nel percorso emozionale di un essere umano. Certe volte sono gli incubi che diventano realtà. In una fase di pessimismo astronautico, per me sembra essere più valida l’affermazione “continua a fare incubi, finché questi non si avverano” che il contrario.
Con i Negazione l’esperienza di ascolto è lancinante perché umana. Le urla a sputaugola combattono con la bassa fedeltà risultando parti di un realismo di periferia industriale, dove l’incuria è la regola d’arte che ha compromesso lo spirito di gente abbandonata a se stessa. Circola una mentalità operaia libera dai secoli di schiavitù dell’umanità, che non ha grandi mezzi intellettuali ma che ha percepito la propria condizione reietta e la sfida, con parole semplici che tirano ganci a ripetizione alla coscienza. La propria coscienza. Testi arrotolati in se stessi, che parlano verso una sola direzione e che sicuramente farebbero la felicità di chi vuole che persista quell’incuria. Ma tant’è, sono parole che arrivano solo ha chi ha bisogno di qualche ceffone sulle guance, per renderle meno anemiche.
Per un uomo che muore fuori, c’è un fremito d’orgoglio di una parte del mio spirito che mena alla cieca e poi si spegne per sempre, insieme a chi lascia uno spirito che non continua. Con la particella di negazione, il titolo del lavoro successivo per me ha più senso. Sto diventando triste. Faccio cose che vivo asetticamente, in maniera distaccata. Le faccio perché le devo fare. Dentro di me so di essere già morto in parte perché sono fatto di altri che non ci sono più. Con questa ho perso l’ultima delle tre figure maschili che, senza intervenire mai in maniera perentoria, hanno sicuramente forgiato il mio modo di essere oggi.
Per questo anche io, oggi, ho voglia di esporre il marcio nelle vetrine, distruggere la felicità delle vostre domeniche, sporcare la vostra asetticità con la mia vita. Ho voglia di vivere con i soldi in tasca e la fame in bocca, di tenermi tutto dentro senza un perché, di non sapere dei miei sentimenti, di farmi un altro film nella mia mente.
Ciao Zio.
Andatevene tutti affanculo.
Carico i commenti... con calma