Siete a lezione, in cattedra il professore, un tipo con la testa rasata, piccolo, accento pugliese, vi invita a stare attenti, a non perdere la concentrazione . Sta per mostrarvi all’atto pratico “Come rovinare una bella canzone”.

Deve essere proprio così, sapete? Le canzoni si deve saperle rovinare ad arte. Non puoi rovinarle così, a caso, devi sapere dove andare a mettere le mani, sul serio, come un buon chirurgo che sa come ammazzare un paziente sotto i ferri con pochi abili gesti.

Il caso in oggetto, è la cover dei Negramaro pubblicata nel 2008 di un famoso pezzo di Domenico Modugno del 1968: “Meraviglioso”. È un caso emblematico, vorrei concentrarmi sia sui difetti della cover che sulle caratteristiche del pezzo originale, perché il metodo Negramaro di “rovinare una bella canzone” è un metodo (ab)usatissimo nel mondo della canzone, e potrei citare decine e decine di casi del genere, ma qua siamo all’eccellenza, il livello è davvero alto (basso).

Il pezzo originale è una classica canzone ben fatta, di quelle con un testo sensato, una storia con un capo e una coda (non vorrei ma devo accennare alla qualità dei testi di molti successi di oggi, consistenti spesso in frasi ad effetto, “da facebook”, aggiungerei, incollate una appresso all’altra senza un filo logico). È la storia di un uomo, disperato, sul punto di suicidarsi, che viene salvato da “un angelo vestito da passante” che gli apre gli occhi sulla bellezza del mondo, della vita, “persino il tuo dolore potrà apparire poi meraviglioso”. Un testo che è un capolavoro.

Altro aspetto, il pezzo è ben fatto anche perché musica e parole vanno a braccetto, il “mood” del testo ha il suo corrispettivo nell’accompagnamento musicale. Ad esempio, quando Modugno interpreta la parte in Fa # minore, quella del tentativo di suicidio per capirci, il tono della musica è drammatico, in sintonia con il testo, la voce è rotta dalla disperazione. Quando poi è il momento del ritornello, con il passante che apre gli occhi del protagonista sulla bellezza della vita, lo stile cambia, è più vivace, positivo (si passa al Fa # maggiore), tu capisci davvero il senso di quelle parole, puoi “vedere” dal tono della voce quasi paterno ma scanzonato, che quell’angelo è davvero in grado di strapparlo dalla sua disperazione, sono parole sì accorate, ma percepisci una leggerezza, un modo di vedere la vita talmente soave che anche tu, che senz’altro non stai per buttarti dal cavalcavia, senti di poterla apprezzare un po’ di più. Ti sembra di vederlo, quel passante, con un sorriso pieno di comprensione, ti prende il viso con due mani, ti guarda negli occhi e ti dice “ma guardati intorno” e ti indica qualsiasi piccola cosa ti circondi, che non sai più apprezzare, il fatto è che non hai più a fuoco niente, perché a volte il dolore manda tutto fuori fuoco, vedi solo te stesso e la tua piccola grande sofferenza come se fosse tutto l’universo, e arriva qualcuno e ti dice: guarda che hai tanto per cui vivere. Banale quanto vuoi, scontato, ma è un piccolo miracolo.

Ora prendi tutto questo, accartoccia tutto e buttalo via. Perché esattamente 40 anni dopo arrivano i Negramaro con la loro cover, straordinario successo di vendite e di critica, acclamato e strapremiato.

Il tono del loro pezzo è dettato dalla vocalità di Sangiorgi, l’accompagnamento della band segue sempre pedissequamente il leader, imbrigliata in quella direzione lì, senza un guizzo, una trovata che dia un senso, una svolta, una chiave di lettura. Puro e semplice inerme accompagnamento. Il canto di Sangiorgi è sempre ostinatamente sui toni melodrammatici, in constante alternanza tra il sussurro catacombale e il grido disperato di un amante abbandonato. Non c’è mai l’ombra di una dissolvenza tra i due estremi, lui alterna in ogni pezzo con la stessa disinvoltura bisbigli e urla disperate. Così strappa applausi, certamente, ma come in questo caso, riesce a degradare e svilire qualsiasi cosa.

Il ritornello, quando dice “ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto…” pausa, prende fiato e intona a squarciagola “ti hanno inventato il maaaaareee” con un tono che diresti quasi adirato, è l’esempio emblematico di come è facile fare una cover, e quanto sia difficile restituire lo spirito originale, forse rivisto e corretto, ma non stravolto, deturpato, snaturato in tal maniera.

Dico solo che se fossi stato quell’uomo lì, sul punto di buttarmi / non buttarmi, lo faccio/ non lo faccio, se fossi stato su quel parapetto, all’esortazione di Sangiorgi mi sarei senz’altro lanciato a piombo tra i flutti.

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