Milleduecento chilometri sono abbastanza per andare a vedere un concerto caldeggiato da tutti.
I Neurosis dal vivo non tradiscono le aspettative, ma confermano l'atteggiamento di austerità che s'intuisce ascoltandone i dischi.A partire dal soundcheck fatto da loro stessi mentre il pubblico si assiepa sotto il palco non riconoscendoli, o forse rispettandone l'aura di severa professionalità e l'antidivismo.
Dietro i sei componenti della band si erge un grande schermo circolare, con due gemelli più piccoli ai lati, e subito il ricordo va al concerto dei Tool visto nel 2001.

I musicisti si ritirano dalla scena e una nota bassa e sepolcrale induce il pubblico a fare silenzio; a poco a poco l'assenza di rumore diventa talmente tangibile che il minimo movimento sembra creare un fastidio immenso a tutti.
Poi la batteria comincia a scandire il tempo di "Burn" e il pubblico esplode; negli schermi ci sono immagini di ghiaccio e di lontane rive inospitali, forse dell'antartide o forse di un altro mondo.
Accanto a Steve Von Till, che imbraccia la chitarra come fosse un totem di cui andare fieri, Scott Kelly infierisce su un enorme tamburo rincarando la dose ritmica del brano. Il tutto sembra un qualche rituale antico, con questi sei uomini seri che, seminascosti dalle ombre, intonano canti marziali e spaventosi, invocazioni e maledizioni verso l'alto.
Qualcuno del pubblico lascia la sala per andarsi ad ascoltare i più rassicuranti Megadeth nel main stage, molti si coprono le orecchie e lanciano sguardi preoccupati ai vicini, altri se ne stanno semplicemente a bocca aperta a fissare gli schermi, come ipnotizzati.
"Staring at the doorway" grida Scott Kelly, e sugli schermi appare il volto di una donna inondata di acqua che sorge e poi annega, sorge e torna ancora gù come affondando in un abisso; tutti iniziano a muoversi a ritmo con le percussioni, che ora vengono suonate anche da Steve Von Till, sembra di essere finiti nel racconto di Poe sulla discesa nel Maelstrom.
Un ragazzo inizia a distribuire tappi auricolari, e la "messa" continua fino a che io non mi dimentico della stanchezza e dei chilometri; trascinato dal mantra consolante di "A sun that never sets" comincio anch'io a muovermi con il pubblico e il caldo non si sente quasi più. Poi qualcosa si incrina nella tranquillità introspettiva del pezzo per precipitare nel calderone ribollente di "Under the Surface"; Von Till e Scott Kelly tornano con rabbia ferina a massacrare i tamburi in un crescendo spaventoso, è quì che il senso di tribalità che i Neurosis emanano si fa fortissimo.
il tutto sale fino ad esplodere ed è la volta di "I can see you" che con la sua disperata invocazione di aiuto chiude un set incredibile, arricchito da video meravigliosi e terrificanti che si sposavano perfettamente con l'andamento della musica.

I Neurosis sono così e dopo averli ascoltati con attenzione non si può più far a meno della potenza biblica delle loro grida.

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