Un magma sonoro che si minaccia dal profondo, è questo l'ultimo disco dei losangeleni Neurosis; distaccatisi ormai dalle sonorità più violente ed estreme sono approdati ad un genere-non genere che vanta innumerevoli apostoli nella scena post hardcore contemporanea.
L'opera si apre con la pulsazione di "Burn" che cresce fino ad esplodere nell'urlo liberatorio di Steve Von Till, mentre la tastiera disegna paesaggi impensabili con campionamenti che sembrano presi dalle calotte polari che si staccano e cozzano contro di loro. Il fuoco e il ghiaccio insieme passano la parola a "No River To Take Me Home" una canzone davvero splendida che si illumina di una sofferenza autentica e sconcertante, quasi avesse tutta l'anima di un blues dilatato e distorto, con in più la voce ieratica e possente di Scott Kelly.

"The Eye Of Every Storm" inizia là dove ci aspettiamo che inizi: nella quiete dell'occhio del ciclone, come se il dolore fin ora provato si quietasse un attimo facendoci respirare; ma sempre, implacabile, una tensione data dalle tastiere e dalla snervante attesa che qualcosa esploda ci impedisce di rilassarci e dimenticarci. Questa traccia, forse la più riuscita di tutto l'album, ha un centro desolante dove le pulsazioni del sole e il rumore del vento danno l'idea di quanto i Neurosis abbiano lavorato sul concetto di quiete-dopo-l'apocalisse.
"Left To Wander" riprende il volante e dal deserto ci getta a tutta verso la tromba d'aria; poi la quiete riprende il sopravvento, mentre una voce sottile ci avverte che la luce se ne è andata dal mondo e gli spiriti sono sorti come fumo insieme ai cadaveri. La tensione e l'orrore si danno il cambio mentre il vento continua a soffiare sulle ossa scoperte, i riff di chitarra si dilatano sempre di più trasformandosi in una marcia da Giorno del Giudizio.
Immaginatevi di osservare un tramonto tra scheletri di grattacieli che grondano sabbia e avrete "Shelter": qui una tromba suona il Silenzio e poi l'urlo impazzito dell'ultimo soldato sfonda la preghiera, ancora la desolazione e la rabbia vincono sopra tutto e tutti.
" A Season In The Sky" ha il tiro e la profondità del canto di un Muezzin nella nebbia del mattino; di nuovo il deserto e il fuoco dei pozzi incendiati in lontananza, le esplosioni che riempiono il buio mentre si attende di essere uccisi da un cecchino, dalle bombe o dalla fame. Le nuvole continuano ad addensarsi e il vento cresce, non si possono più curare le ferite e allora si infierisce sulla propria carne e si piange pregando per la pioggia.
"Bridges" è il pezzo più tecnologico dell'opera calando effetti elettronici ed interferenze su un tappeto ritmico marziale, mentre il canto è sempre un ululato intimo e graffiato, come un paziente che si dimena sotto i bisturi di chirurghi robotici ignari della sua sofferenza. L'esplosione arriva alla fine, catartica, come se l'intero edificio della coscienza crollasse nella follia.
"I Can See You" è il confiteor finale: un'amara canzone d'amore e di perdita in cui Scott Kelly prima sussurra dolce e poi ringhia il bisogno di vedere ancora le persone amate, dopo tutta questa sofferenza e desolazione. Gli archi si amalgamano al resto rendendo magica la conclusione di un album decisamente non per tutti, ma che tocca corde molto profonde; come se i Neurosis fossero entrati in una fase che trascende ogni genere e "schema" prestabilito per creare una musica senza tempo.

Da comprare e centellinare, con attenzione e cautela.

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