Molti diranno che i Nickelback sono la prova definitiva che il nichel dà allergia, io invece li definisco l’ultima grande rock’n’roll band sulla Terra e per questo non volevo mancare alla data milanese del “Feed the Machine Tour”. Non sono uno che si sposta oltre il proprio hinterland per vedere i concerti, se vengono a Milano bene, altrimenti chissene, è un mio difetto, però ho la fortuna di vivere a pochi chilometri dalla metropoli che miriade di gruppi scelgono come unica data italiana, probabilmente per via della notevole importanza economica, sociale e culturale che la città riveste. E sono stato fortunato anche stavolta, perché dopo l’annullamento del precedente tour per via dell’intervento alle corde vocali di Chad Kroeger pensavo che scegliessero la città originariamente prevista per quel tour, ovvero Torino.

Per il concerto rock andrebbe sempre scelto il parterre, ma quando si tratta di un gruppo che suona in un posto piuttosto grande e devi andarci subito uscito dal lavoro è meglio prendere la tribuna, con il tuo posto assegnato che nessuno ti può fottere; niente code per essere davanti, entri con comodo ti siedi al tuo posto; poi ho notato che se avessi preso il parterre non sarei stato poi così tanto indietro, ma vedere il concerto per bene forse è meglio.

Quello che noto all’arrivo è un pubblico dall’aspetto esteriore piuttosto poco rock; relativamente non tantissimi quelli con look tendenzialmente trasandato, capelli lunghi e t-shirt di gruppi metal particolarmente settoriali - a dimostrazione di quanto la band sia odiata dai puristi del genere - al massimo un po’ di gente con maglie dei soliti gruppi più conosciuti, roba tipo AC/DC e Guns’n’Roses; tantissimi invece i giovani in età adolescenziale e post adolescenziale, tante quindi le fighette in calore, tante le cosce al vento, diciamo un secondo spettacolo in omaggio. C’è però da aspettarselo, si tratta di una band rock commerciale il cui successo è trascinato dalle numerosissime ballad da karaoke (circa 5 in ogni album pubblicato dal 2005 in poi).

Il palco è allestito con una sorta di macchinario centrale su cui si erge la batteria e da cui partono dei tubi luminosi, tutto ispirato all’artwork dell’ultimo album. Sovrasta il palco un maxischermo a forma di semicerchio e due schermi rettangolari laterali, su cui proiettare le grafiche d’accompagnamento e le inquadrature alla band e al pubblico.

Aprono la serata i sudafricani Seether, band sudafricana attiva ormai da quasi vent’anni ma dal potenziale commerciale sicuramente più ridotto rispetto ai Nickelback. I sudafricani offrono un esempio del loro post-grunge suonando la loro breve scaletta senza strafare e senza dare troppo spettacolo; li conoscevo solo per la ballad con Amy Lee e non li ho mai approfonditi, chissà se un giorno mi verrà voglia di farlo.

A far crescere l’attesa per l’ingresso dei Nickelback ci pensa un breve videomessaggio seguito da un fotogramma dell’ultimo album con il conto alla rovescia; pensavamo tutti che fossero i minuti mancanti all’inizio della loro esibizione, invece proiettano il trailer del tour con un “coming soon” finale, in sostanza una presa per il culo benevola ma ben riuscita.

Poi l’arrivo sul palco. Il sound è potente ma non strusciante, tutto ben dosato, forte da entrare nella pelle ma composto, in modo da riconoscerne i suoni e da non soffocare la voce potente di Chad Kroeger; tuttavia quando non c’è di mezzo un tastierista il problema viene decisamente meno. Così le ballad suonano da brividi e da pelle d’oca e i brani più pesanti suonano come macigni, quasi “metallici” ma senza mai strusciare.

Il pubblico è presente e vivo, e non solo sui brani più canticchiabili, non è quel pubblico indifferente che aspetta solo i successoni per animarsi. In più Chad ci mette del suo intrattenendo simpaticamente il pubblico che spesso risponde con un “bevoooo, bevoooo…” mentre il vocalist si alcoolizza. Il massimo coinvolgimento si ha quando Chad chiama due fan a cantare “Rockstar” (un rituale classico ormai). Mi sorprende la richiesta (accontentata) di eseguire “What Are You Waiting For?”; non era mica “No Fixed Address” un disco bistrattato? Io ho fatto la mia parte a volte in maniera un po’ eccentrica, atteggiandomi da adolescente seppur prossimo alla trentina: ondeggio i miei lightstick sulle ballad mentre sui brani più pesanti quali “Something in Your Mouth”, “Million Miles an Hour” e “Burn It to the Ground” faccio addirittura il metallaro (seppur con addosso una semplice polo a righe) facendo headbanging; sull’ultima però c’è da dire che ci siamo alzati tutti a saltellare, anche l’osservatore più inattivo.

Sotto l’aspetto visivo lo spettacolo è offerto dalle animazioni sul megaschermo semicircolare; tubi e condotte colorate accompagnano “Feed the Machine”, collage di foto stile Polaroid con i membri della band protagonisti per “Photograph” (spunta pure una foto con Geddy Lee ma chissà in quanti lo conoscevano e l’avranno notato), parole in sovrimpressione su “Far Away”, scie luminose guidano la dolcezza di “Lullaby”, pagine, radio e giradischi in fiamme per “Song on Fire”, luci psichedeliche e veloci risultano perfette per la potenza da sballo di “Million Miles an Hour”, immagini e parole rotanti per “When We Stand Together”, un’auto d’epoca e i suoi pistoni per “Animals”, mentre solo un fuoco vivo ed ardente che a tratti brucia le sagome dei musicisti può accompagnare al meglio la conclusiva ed esplosiva “Burn It to the Ground”.

Veniamo alla scaletta, che qua c’è da aprire un discorso un po’ più lungo. Essa infatti vede un po’ troppa prevalenza di ballad e brani comunque radiofonici, tutti tranquillamente da brivido, tutti ci abbiamo perso la voce, ma la loro prevalenza faceva quasi dimenticare di trovarsi di fronte ad una grandiosa band hard rock. Il bello dei Nickelback, lo sappiamo, è proprio l’alternanza così disinvolta di brani duri e brani soft all’interno di uno stesso album, l’essere l’unica band ad essere tanto da pogo (anche se di pogo non c’è stata traccia nel parterre) quanto da karaoke, a fasi strettamente alterne, e proprio per questo avrei creato una scaletta un po’ più paritaria; non avrei tolto probabilmente nessuna delle ballad proposte ma in sostanza avrei aggiunto una manciata di brani belli tirati in più, che ne so, “This Means War”, “Side of a Bullet”, “Because of You”; e se proprio avrei preferito una prevalenza avrei preferito quella dei brani più hard, dato che con una band che sa essere esplosiva c’era la possibilità di un concerto davvero esplosivo; ma questa prevalenza radiofonica dà l’impressione di un concerto per accontentare le ragazzine (e infatti quante ce n’erano...). Poi ci si dimenticava che era il tour di “Feed the Machine” e invece ne vengono proposti solo due brani (più l’ultima traccia messa di sottofondo a nastro ad accompagnare lo sfollamento a fine concerto); un’altra manciata di brani li avrei messi, “Must Be Nice” ad esempio avrebbe avuto un’ottima resa live, si sarebbero scatenati tutti, avremmo pure ballato, “The Betrayal (Act III)” sarebbe stato un altro bel macigno (o forse sarebbe stata troppo metallara per il target?), mentre ballad come “After the Rain” e “Home” avrebbero scaldato la serata (non che ce ne fosse bisogno perché faceva già caldo, eheheh) quanto le altre eseguite. Poi c’è il problema della scarsa propensione alla sperimentazione nelle scalette, che riguarda un po’ tutti i grandi gruppi e di cui penso di scrivere un prossimo editoriale; sfogliando anche le vecchie scalette noto che i brani proposti sono un po’ sempre gli stessi, solitamente si tratta di singoli estratti quando invece si potrebbe osare un po’ di più con le innumerevoli chicche presenti in ciascun album; brani poco considerati che avrebbero potuto spaccare con la loro potenza potevano essere ad esempio “Throw Yourself Away”, “Next Go Round”, “Bottoms Up”, “Midnight Queen”, “Kiss It Goodbye”, oppure anche qualcosina dai primi due poco conosciuti album. La scaletta era di circa 1h e 40m e qualcosa ancora si poteva aggiungere.

Nel complesso comunque non possiamo dire che non ci siamo divertiti; magari i Nickelback non saranno dei mostri tecnicamente e probabilmente nemmeno da un punto di vista artistico e atmosferico, saranno una band operaia, migliaia di band se li mangeranno a colazione e se si è obiettivi lo si ammette anche se si è fan, però si sono dimostrati validi performer, le emozioni le abbiamo provate, i brividi li abbiamo avuti, probabilmente in molti li andremo a rivedere in futuro.

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