Abbiamo a disposizione questi elementi: un personaggio oscuro, mesto, tristarello che ricomincia la sua vita da zero: interpretato ottimamente da Kevin Bacon (Walter), "The Woodsman" è un film del 2004. Un modesto nuovo appartamento davanti ad una scuola elementare, un lavoro in una segheria (da qui il titolo), il tutto condito da una massiccia dose di solitudine. Perché il personaggio è così solo? Si scopre che ha passato 12 anni in carcere per molestie su minori. Bacon si fa schifo. Lo sostiene davanti allo psicologo al quale chiede "quando sarò normale" riconoscendo in se una patologia. La scienza riconosce la pedofilia come una patologia, e il regista, Nicole Kassel, decide di farlo ritenere anche al personaggio. Lo sostiene quando prende le distanze da un altro pedofilo che agisce di fronte alla sua finestra, dove appunto c'è un via vai di bambini. Lo spettatore può pensare che 12 anni di carcere gli abbiano permesso di riflettere abbastanza su se stesso, dunque imparare a disprezzarsi, gioco forza, a reprimere i propri istinti, probabilmente conclamati come tara psicologica.
Ma andiamo oltre. Lo spettatore assiste ad una persona tutt'altro che disprezzabile. Lavoratore capace, silenzioso, puntuale, che lotta per fare la cosa giusta. Si finisce per apprezzarlo, ancora di più quando un poliziotto irrompe nel suo appartamento e comincia ad infierire trattandolo come un pezzo di merda, che probabilmente è, ma questo lo spettatore lo può solo immaginare, perché Bacon non fa nulla di male. Ha pagato, ed allora perché quel cattivone di poliziotto lo tratta in quel modo?
Ad un tratto ho pensato che il regista stesse commettendo un errore. Il pedofilo è più che disprezzabile ed allora perché sto cominciando a schierarmi dalla sua parte?
Bacon si rifà una vita e riprende i contatti con una donna, con il cognato, con i colleghi. Però qualcosa non funziona. Lo spirito lo prevarica e si ritrova a seguire delle bambine in un centro commerciale ed un'altra in un boschetto. L'unica volta che lo si vede sorridere è proprio quando parla con una giovane creatura. Ma non fa nulla. Non è pedofilia. E' filantropia. Le bambine sono meravigliose, come si può dire il contrario? Adesso è matematico. Se ti piacciono i bambini non puoi che essere pedofilo. Una volta magari affermare "mi piacciono i bambini" poteva rappresentare un desiderio di paternità, una vocazione all'educazione, un riconoscimento della purezza e dell'innocenza di chi non ha ancora compreso le porcherie dell'esistenza e vive in una serena irresponsabile spensieratezza. Assisteremo insomma ad un filantropo che è disgustato dai pedofili e appena ha l'occasione si accanisce contro uno di essi, pestandolo a sangue (in quel momento forse sta pestando la parte marcia di se), allontana una bambina con cui aveva avviato una conversazione e si comporta da giusto, non commette errori. Anzi, alla fine si rifarà decisamente una vita, e non sapremo mai se è guarito, magari che ha preso la strada giusta.
Così lo spettatore rimane ottimista, ed è un peccato, perché questo film (nonostante si creino buoni momenti di tensione da angoscia) non è aderente con la realtà. 9 su 10 ci ricascano, ed il film racconta di un'eccezione. Magari fosse davvero sempre così. In questi anni la fobia del pedofilo è aumentata in modo strabiliante, e a ragione. I dati sono sconcertanti ed è facilissimo additare anche chi non è necessariamente malintenzionato. Nel lungometraggio si crea un buon equilibrio tra chi ha fiducia nella riabilitazione del personaggio e chi non ne ha. E voi come vi schierate?
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