Atrocity Exhibition

"Negli ultimi anni delle elementari, quello che una volta era giudicato come un ragazzo con predisposizione all'autismo, con stupore e felicità dei genitori, si era integrato senza difficoltà in quella piccola società che è la scuola. Per me quel posto era una gabbia piena di scimmie e maiali. Stabilii che quel posto non aveva nulla a che fare con me.

Per integrarsi con quella che viene definita società serve una tecnica. Non distinguersi.

Ma non basta starsene tranquilli. Questo può sortire l'effetto opposto. Bisogna essere mediocri.

Essere mediocremente felici. Mediocremente seri. Mediocremente stupidi. Mediocremente docili. Trascorrere i giorni con un sorriso tenue e vigliacco.

Come rifiuto a qualsiasi relazione con questa società, approfittai di questa tecnica. Per uno come me, per cui nulla ha significato, questa farsa non era nemmeno dolorosa."

C'è molto del Il Bambino di Dio in questo estratto.

Il Bambino di Dio è un manga underground, realizzato dai fratelli Satoshi e Chiaki Nishioka (Kyōdai in giapponese significa fratelli), rispettivamente sceneggiatore e disegnatrice, che si sono fatti strada nel mondo del fumetto alternativo in Giappone con opere estreme, sperimentali e di grande caratura artistica.

C'è qualcosa che salta immediatamente all'occhio in quest'opera, allucinata fin da subito e che ricorda lo stile dei libri per bambini piuttosto che dei manga tradizionali, con pagine di figure e pochissime parole ai bordi: gli adulti sono quasi unicamente disegnati senza volto, senza occhi. Come una massa indistinta di individui insignificanti ed inetti, irrilevanti, ininfluenti, senza emozioni, consapevolezza o intelligenza. Di contro, i bambini ("i fanciulli", per meglio dire) hanno un volto, ma non espressioni, e manifestano l'assenza di un'anima dalle crudeltà che mettono in atto verso il più debole, la preda designata dal branco di carnefici, "schiamazzanti come scimmie ed indifferenti come maiali". Il contrasto tra impostazione e contenuto è fortissimo.

Se, infatti, il Bambino di Dio, il figlio del Sole Nero senza nome (nessun personaggio ha nome), protagonista dell'opera, è un essere nato come malvagio, a sconvolgere di più resta la crudeltà degli individui che, fin dall'infanzia e da quella "piccola società che è la scuola" (di cui sopra), ne mostrano in qualche modo la via e segnano la crescita verso una esistenza di solo e puro Male, verso un nichilismo estremo. Nella consapevolezza della più totale assenza di innocenza all'interno questo mondo. In cui a salvarsi sono pochissimi elementi, destinati ovviamente alla neutralizzazione, all'umiliazione, alla violazione, alla morte sanguinolenta e raccapricciante.

L'opera è soprattutto visiva e quasi totalmente senza dialoghi, come si diceva. La parola è interamente riservata ai pensieri ed alle riflessioni del protagonista, come una voce fuori campo, talvolta descrittiva delle insensate atrocità perpetrate, talvolta semplice presa d'atto della bruttezza del mondo. Dove nulla vale davvero la pena di essere salvato. In nome, appunto, di un nichilismo assoluto e di una visione cupa, perfettamente rappresentata dal sole nero che sostituisce il sole della bandiera nipponica. Il Sol Levante si tinge così di nero, diventa oscuro. Tetro. Maligno. Una metafora semplice eppure che più potente ed azzeccata non poteva essere.

Il retrogusto che resta alla fine è acre. La sensazione è negativa, e più volte durante la lettura ti chiedi se non ci sia qualcosa di gratuito in tutto questo. Ma la risposta infine è no, perché Il Bambino di Dio è sgradevole, disturbante, lontanissimo dall'essere un'esperienza "piacevole", eppure indiscutibilmente qualcosa lascia, di certo non si rimane indifferenti di fronte a tanto orrore ritratto con tale naturalezza e freddezza. È un'opera provocatoria e in quanto tale viene portata all'estremo come è giusto che sia.

In cui forte e fondamentale resta il sottotesto biblico, esplicitato in sede di postfazione. La parabola di uno spirito immondo: questo è Il Bambino di Dio.

Una parabola che non ammette sconti e che mette di fronte ad un mondo in cui il Male è radicato nella natura umana e nelle dinamiche sociali, dall'infanzia all'età adulta. Di conseguenza, una singola entità può nascere, essere uccisa e tornare in eterno. Ma non è con essa che il Male scomparirà.

La società giapponese è di certo piena di demoni, ma sarebbe rassicurante fingere di non sapere che quanto ritratto in quest'opera richiami ad orrori ciclici e inscenati da ogni parte del mondo. La prevaricazione, il potere, l'attrazione verso la morte e verso un capo carismatico (tipo Manson). La banalità del Male.

Per questo che tale lettura (che si completa in un attimo) lascerà profondamente turbati. Ed è in questo che si riconosce il valore di un'opera d'arte. In particolare delle più malsane, più agghiaccianti. Come questa.

"Decisi di uccidere i miei genitori. Verso di loro non serbavo particolare rancore. Dovevo ottenere la libertà suprema, datami dall'assoluto potere e dall'assoluto relativismo.

Ordinai ai miei bambini di ucciderli."

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