Avete presente il trattamento che la Yakuza riserva ai propri traditori? Neanch’io. Ma posso immaginarlo ascoltando i Number Girl.

Certe cose mi fanno incazzare male, tipo alcuni utenti di DeBaser che sono la trasposizione di utenti della vita reale non capenti una cippa e che desidererei evirare con bacchette per riso nella migliore tradizione Kitano. Vi sono cose invece che fanno incazzare bene, come sti quattro studenti giapponesi che nel giro di un anno (back in 1999) pubblicano il loro debutto su etichetta indipendente, vengono assoldati dalla EMI per fare il secondo e sfornano un terzo album live.

"Shibuya ROCKTRANSFORMED Joutai" è frutto di quel periodo di mungitura artistica. Shutoku Mukai è il cantante, avete presente il classico secchione delle superiori? Capelli a caschetto, occhiali, magrolino, non gli dareste manco una patacca di Macao. Invece è uno che si fa un mazzo tanto a violentare le proprie corde vocali. Ma non canta mica in maniera aulicamente growlesca come qualche troll medallar si auspicherebbe. Nah, lui semplicemente sbraita come se dovesse difendersi da Galeazzi affamato a ferragosto quando perfino i distributori di vivande son chiusi. Non ci tiene alla gola, non ci tiene ai nostri timpani; se ne sbatte se sembra il ragazzo acqua e savon, sale sul palco e si tramuta in una belva fessurine a mandorla.

Rock chitarristico veloce, un po’ sconnesso, sommessamente melodico. Non spiccatamente orientale visto l’amore esplicito, e lo si evince ascoltandoli, per le creazioni di Francis Black e soci. Potessi tornare all’ancestrale dimensione di spermatozoo vorrei essere espulso dalla sacchetta scrotale di dimensioni ridotte di un nipponico di Fukuoka in modo da poter ammirare in tenera età le gesta di 4 ragazzi qualunque divenuti rockstar per caso. Chitarre laceranti, basso rauco, batteria potente e isterica, urla a profusione; non serve altro per alleviare nevrosi postadolescenziali. E la ricetta funziona. Sarà il rancore nei confronti delle dimensioni genitali medie caucasiche o le balene che stanno finendo negli oceani ma sti nipponici quando si tratta di sfogarsi non hanno pari.

Chiudo gli occhi e metto su le cuffie, proprio come facevo qualche anno fa in corriera la mattina andando a scuola. Mi dovevo svegliare alle 6e15, per forza ch’ero incazzato. Per forza che mi vedevo li nel pubblico, anch’io adolescente nipponico represso, a urlare accozzaglie improbabili di consonanti gutturali e dentali mentre sperabilmente nella calca ci scappa un galeotto palpeggio a qualche innocente natica di studentessa. La prima cosa che sento sono i miei coetanei brufolosi un po’ alticci che agitano capelli unti iniziando a propagare sudore misto a ormoni della crescita. Una chitarra biascica, fischia, il basso gigioneggia, la batteria fa casino random. Poi si parte, le immagini si offuscano nel marasma, ci sono solo loro ora con la loro bolgia musicale, i fottuti Number Girl. Salto, sbraito, sgomito, prendo sputi in faccia, mi strappano dei peli, volano protesi, otturazioni, parrucchini. Parte “Iggy Pop Fun Club” e chi può tira fuori la sua katana. Ci si riassesta un po’ col mantra di “Sakura No Dansu” ma subito dopo c’è “Samurai” nel quale svariati Hiroshi e Satoshi hanno un’insufficienza caridiaca e sono calpestati incurantemente dai rimanenti vivi. “YOUNG GIRL 17TEEN SEXUALLY KNOWING” fa crollare le ultime resistenze di giovani illibate che freneticamente si cimentano nel copulare con le prime forme biologiche capitanti a tiro. Poi suonano la mia preferita: “Toumei Shoujo”, ormai ho perso parecchi denti e mi sono venuti i capelli bianchi ma non importa, stasera il furore di una violenza primitiva mi porta a superare la sofferenza, essa diviene linfa per l’animo mio frustrato. “Nichijou ni Ikiru Shoujo”, altra apoteosi dilata-deretani. “Super Young” e il suo riff perfido sembrano non finire mai, eppure lo so, la fine si avvicina, non prima però di un’ultima scheggia d’energia distruttrice: “Omoide In My Head” forse pezzo simbolo della piccola follia di questi ragazzi, a cui no, non si può rimanere indifferenti e a cui no, non si può sopravvivere. Siamo rimasti io, una dozzina di Kazuhiko e un paio di Akiko. Più di sei minuti di bordello inusitato, non reggo, non ce la faccio, estenuato, mi sento disgregare, trasformarmi in mefitica poltiglia suborganica.

Il concerto finisce, forse, perché nessuno di noi è sopravvissuto per raccontar.. “Ehi”…..“Ehi..….ragazzo…sveglia………..oi, la corriera è arrivata, devi scendere”

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