Ho conosciuto Liam Gallagher all'interno di un locale fiorentino piuttosto famoso in città, il Bebop. Poco prima l'avevo visto sfrecciare dentro un monovolume di proprietà dell'albergo dove alloggiava quel giorno di Febbraio, vigilia del concerto dell'anno scorso al Mandela Forum. Si stava dirigendo verso il Bebop perché, parole sue rivolte ad un mio amico, "ero attirato dalla scritta fuori che diceva - TONIGHT OASIS COVER BAND 10.30 P.M. -". Questo mio amico lo sapeva, perché il fratello lavora proprio in quell'albergo lì, e proprio lui gli aveva indicato la strada.

Scendo quindi le scalette del Bebop, con l'idea di trovarmi davanti ad una scazzottata epica, denti rotti, macchine fotografiche in pezzi… Appena arrivo, c'è Liam in mezzo a quattro o cinque persone, con una pinta di rossa in mano, che chiacchera dispensando sorrisi col suo terribile, insentibile accento mancuniano ("see ya t'morow at our show, ok?"), mi avvicino, gli stringo una mano, e faccio pure scattare alla mia ragazza una foto che ci ritrae insieme. Eccheccazzo, ma i giornalisti inglesi sono una massa di cafoni provocatori (tesi invero sostenuta da tanti) o lui è in serata buona? Riesco, mentre lui continua a parlare col mio amico (in giornata c'è stato uno scambio di battute memorabili - "Il cantante dei Maximo Park dice che il suo gruppo è migliore degli Oasis" e Liam "Ecchicazzo sono? Digli a quel coglione di andare a farsi fottere… ") a rimanere addirittura "deluso", soprattutto quando la cover band attacca e lui, invece di madarli a cagare ed uscire incazzato in puro stile "MonociglioGallagher", si mette a ballicchiare e cantare a squarciagola in sequenza "Columbia", "Roll With It", "Lyla" etc. per circa tre quarti d'ora. Poco dopo se ne andrà (considerata la calca che inevitabilmente si era creata) salutando tutti in maniera cordialissima. Ero basito!

Ma come? Era riuscito a sopportare persino quelli che lo incenerivano con lo sguardo, evitando di mettergli le mani addosso (come molti utenti di questo sito farebbero volentieri con lui, eh eh… ). Nemmeno una scaramuccia. Niente di niente. E allora pensi che la musica degli Oasis è odiata/amata forse proprio per questo motivo. Perché per molti è una falsità, una contraddizione bella e buona (ma come, emerito coglione, parli di trasgressione, sigarette, alcool, sfasci alberghi, e poi sorridi ad un lurido fattone che ti squadra come se avesse visto Bin Laden in persona?). Ad altri invece è entrata nel cuore, perché parla di come ti senti quando la vita è una merda ("voglio lasciare questa città/questo vecchio posto non ha proprio un buon odore" - "Half The World Away"), di come ci si sente quando qualcuno sta per andarsene ("non te ne andare/dimmi cosa devi dire/ma dimmi che rimarrai/per sempre e anche di più/per tutto il tempo in cui vivrò" - "Don't Go Away", per la madre che ai tempi si credeva fosse in fin di vita), e di tante altre cose presenti nella vita di tutti i giorni, narrate utilizzando un pop-rock molto semplice (inutile stare a discutere, non sono certo i King Crimson) ma al contempo diretto.

Spacconi quanto vi pare, ma senza la pretesa di ritenersi artisti ("I Radiohead sono artisti, noi no" Noel Gallagher). Per quanto riguarda l'aspetto musicale di questo best of (un pretesto per fare il bilancio di 12 anni di carriera), bastano un paio di righe: qualche classico ("Wonderwall", "Don't Look Back in Anger", "Champagne Supernova"), qualche buon pezzo ("The Importance Of Being Idle", "Talk Tonight", "Slide Away") e tante canzoni belle e piacevoli, oltre a qualche caduta pesante di stile ("Songbird"). Tutto per chiarire una cosa fondamentale, che dovrebbe essere condivisa ed accettata a mio parere da tutti, detrattori o no: magari non saranno simpaticoni, o musicisti della madonna, o talentuosi miscelatori di generi e suoni, ma sono arrivati al cuore di tanta, tanta gente. E in un mondo in cui la musica di plastica ha sempre maggior visibilità, è una capacità che tanti hanno perso.

Hate It or Love It.

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