Un Preludio di Bach suonato con chitarra elettrica su sfondi poliritmici. Un numero di telefono viene composto, una voce all'altro capo della linea risponde: "harmolodic?". Hip hop e free funk. Due chitarre, due bassi, batteria e tabla, che suonano assieme, o gli uni contro gli altri? E in fin dei conti, chi se ne frega? Puro orgasmo musicale.
Un cappello di pelle nera. Un sassofono di plastica bianca. Una giacca che sembra presa di peso da una mostra di pittura astratta. Ma davvero da questo tenero e affabile signore viene fuori un tale torrente inarrestabile di note? Questa voce ammaliante, lirica, straziante? E questa sarebbe l'icona della musica difficile, il babau dell'inascoltabilità, il "mamma mia il free jazz"?
I puristi storcono il naso? Coleman come Miles Davis, che ha venduto l'anima all'elettricità e ai soldi facili? Questa l'abbiamo già sentita...
Bebop e calypso. Languide ballate di sinistra bellezza. Atmosfere da festa povera e groove da giungla urbana. Anarchia e stratificazione dei ritmi, trance ipnotica. Mosaico di chitarre decomposte, frastagliate, splendenti. Fughe in avanti e voglia di ballare. Un brulicante universo sonoro sul quale svetta il sax di Coleman, penetrante, imprevedibile, unico.
Musica ostica, musica rabbiosa? Niente di tutto questo. Un inno alla vita e, udite udite, alla gioia. Per chi non ha mai ascoltato nulla di Ornette Coleman questa potrebbe essere una folgorante sorpresa: a patto di abbandonare paure e pregiudizi, bypassare il cervello, respirare più che ascoltare questa musica, assorbirla attraverso i pori della pelle, sentirla vibrare assieme ai ritmi del proprio corpo.
"Sound Is Everywere". Il suono di Ornette è dappertutto. Lasciatelo danzare nella vostra testa quanto gli pare, per favore.
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