La stravagante scena progressive napoletana è di sicuro la più vasta e la più fertile degli anni Settanta. L.o shock di Alan Sorrenti con "Aria", l'opera "YS" del Balletto di Bronzo, il jazz dei Napoli Centrale con Senese ed Esposito ed il semisconosciuto "Melos" dei Cervello.

Però niente di più teatrale degli Osanna, niente di più pittoresco di loro. Già quel flauto ammaliante del fenomenale Ennio D'Anna che sgattaiolava sublime negli ineserti blues di Rustici faceva sperare molto da questa originale realtà. Il primo album "L'Uomo" mette in mostra chiaramente lo spessore del progetto. Folk, psichedelia, rock e tematiche spirituali/filosofiche, con un pizzico di politica anche, arricchiscono i loro stilemi. Il tempo di partecipare alla colonna sonora di "Milano Calibro 9", con quella bella "There Will Be Time" e altre variazioni del "Tema" portante, e l'anno seguente arriva quello che non ti aspetti, o che miracolosamente invocavi qua in Italia.

Aprono i concerti dei Genesis del periodo "Foxtrot" (e chissà quell'idea del trucco Gabrieliano da dove sia venuta fuori?!) e approdano al puro teatro di "Palepoli".

Un viaggio nele rovine e nelle storie perdute nel tempo.

Il boom economico è risucchiato dall'arcaicità di questo ambient bucolico, panico, surreale, a tratti estatico. Si vede scorrere davanti a noi l'evoluzione della cultura napoletana e i suoi valori popolari.

L'animato vociare di un mercato viene sopraffatto dal'avanzare di una taranta, che frettolosamente ci immerge nei segreti di Pompei. Si viene subito coinvolti dal torrenziale inizio di "Oro Caldo". I suoni sono pieni, l' arcigno blues introduttivo è estraniato dalle note di flauto al contrario. Si fanno poi strada lentamente arpeggi di chitarra e la potenza del paesaggio agreste di quella realtà sommersa.

La bellezza delle campestri ritmiche danzanti meridionali condite dagli elevati watt della band lasciano senza fiato quando iniziano a fondersi. Veramente grezzi quando flauto e basso si inabissano nelle ritmiche più ossessive e funamboliche della batteria. Il finale è da brividi, giochi elettronici e tempi impossibili da concepire. Debitori chiaramente di Van Der Graaf e King Crimson, ma l'esecuzione e il coinvolgimento degli Osanna è sempre di livelli eccelsi.

Continuiamo ad essere rapiti dai sorprendenti avanguardismi di flauto con voci in "Stanza Città. E poi il messaggio morale/politico/filosofico di "Palepoli"

"Animale Senza Respiro" simboleggia il potente grasso nel suo giardino che viene punito dall'imminente giudizio divino. Emozioni e stupore con fughe, cambi repentini e il classico blues incastrato bene seppur nell'enfatica concezione prettamente teatrale. Il finale è mastodontico. La nostra visione viene scossa dalla torva ascesa di mellotron, bassi e dissonanze equivalenti a un dono divino.

Come riuscire ad immaginare un palcoscenico facendo calare davanti agli occhi dissimulate esistenze.

Carico i commenti... con calma