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Pillole della NOSTRA Storia (16)
Tra dentro e fuori non c'è nessuna differenza.

"Abbiamo tutti a che fare con una
difficoltà [...] sociale, di natura culturale e indubbiamente negativa: non siamo stati educati a vivere a lungo le contraddizioni. Una tale capacità, ovvero la resistenza interiore, richiede una forte modestia, un'accettazione cosciente dei propri limiti che cozza puntualmente con l'individualismo di cui i più vengono imbevuti fin da bambini. Può succedere allora che per esorcizzare la paura il cosciente compromesso sul comportamento si trasferisca pian piano in un compromesso della coscienza, spostando la soglia dell'invalicabile. E' l'inizio
della caduta sul cammino della disumanizzazione.
Descriverò ora questa eventuale caduta in modo inevitabilmente astratto. Descriverò cioè i
meccanismi che da un punto di vista ideale portano spesso un individuo a disumanizzarsi ma che, per fortuna, incontrano nella realtà delle resistenze, un andamento tutt'altro che lineare: si cade nel primo pezzo di percorso, ci si risolleva nel secondo...
La falsa coscienza è essenzialmente un far di necessità virtù, una graduale rimozione della
coscienza del conflitto, e della positività della sua esistenza all'interno della coscienza. La perdita dell'equilibrio interiore è una sorta di peccato d'orgoglio; si diventa incapaci di riconoscere i
propri limiti e capaci invece di mentire a se stessi. L'individuo costruisce allora una falsa unità - falsa perché impossibile - tra coscienza e comportamento. Egli si rappresenta così un mondo sempre più fantastico, in una spirale solipsista che credo simile a quella del paranoico, dove gli altri diventano sempre più irreali o surreali, sempre più “strumenti” o “ostacoli”. Il confine tra fantasticheria e realtà si fa sottile e confuso, come quello fra bugia e autoinganno. Per esempio avviene spesso che tra una cella e l'altra il desiderio di qualcuno diventi una «voce» la quale per altri diventerà notizia sicura da diffondere fino a diventare illusione collettiva. In tutte le carceri
di tutti i tempi e paesi si è sempre in attesa di un qualche progetto di clemenza o di un evento
che farà comunque cambiar le cose in meglio. Il bisogno di speranze diventa un atteggiamento
“infantile”, una attesa che affida ad altri il proprio avvenire rendendo sempre più labili i confini
tra la fantasia e la realtà [...] abbiamo a che fare con una regressione infantile, infantile perché deresponsabilizzante, deresponsabilizzante perché autogiustificante:
essa porta infatti il soggetto a trovare in sé una coerenza che può prescindere sempre più dal
comportamento rendendosene conto sempre meno. Il primo, infatti, si autorappresenta come
uno cui si deve molto perché è bravo, il secondo è uno che non deve niente a nessuno perché ha
ricevuto solo del male. E via via che il recluso si allontana dal senso della realtà, ci accorgeremo
che a ciò corrisponde l'accettazione della realtà imposta dal carcere. Mentre la mente c
  • NAB(m-l)
    22 feb 22
    Mentre la mente costruisce
    un nuovo universo egocentrico, il comportamento diventa penosamente “realistico”. Il recluso si va «accasando»; la sua visione è un'accettazione delle regole imposte del luogo e perciò egli deve entrare in uno stato di “malafede” - come lo definì Sartre nell'Essere e il nulla: capacità di mentire a se stessi -, per convincersi che non è cambiato. Questa scissione ormai mentale e non comportamentale è un'accettazione dei “valori” indotti dal carcere in chi è da questa parte della barricata: è, per così dire, il punto di vista della guardia e della società benpensante inseritasi nella posizione del detenuto. E' una sorta di aberrazione ottica che consente al soggetto di non riconoscersi completamente in quel che è diventato, ma anzi di considerarsi in parte un furbo che sa muoversi in territorio ostile. In nome di questa nuova intelligenza il detenuto può diventare alla fine un sostenitore della pax carceraria e delle sue quotidiane ingiustizie magari più dell'agente di custodia. I kapò sono figure ben note nella storia dei campi di concentramento nazisti, ma la ricerca del premio che consente di abbreviare la pena scatena oggi ancor di più dell'annientamento fisico la formazione di «zone grige», come le chiamò Primo Levi, non solo per la sua natura più vantaggiosa ma anche perché il sistema è più soffice: non richiede un intervento violento verso il prossimo bensì un agire per se stessi fatto soprattutto di cecità verso il prossimo, di indifferenza sempre più meccanica, con margini di autogiustificazione molto ampi.
    La zona grigia, voglio sostenere, si forma anzitutto nella mente, risulta opaca alla stessa
    coscienza. Sul piano pratico essa dà luogo a un atteggiamento contraddittorio, spesso opposto a quello che sarà il risultato finale, rivolgendosi magari aggressivamente contro l'istituzione, in
    uno spirito convulso di protesta confusa."

    (Vincenzo Guagliardo)
     
  • MrDaveBoy73
    22 feb 22
    io ho fatto tre giorni per una bugia (un testimone contro ma bugiardo) e per appurare tutto ci hanno messo tre giorni e mi hanno rinchiuso, mi basta come esperienza. poi qui in Svizzera il carcere è come un albergo c'è la palesrra la terrazza con le sdraio etc.
     

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