Pillole della NOSTRA Storia (28)

Come un orologio rotto segna due volte al giorno l'ora giusta, così i destri, i conservatori, i fasci e i rossobruni (sempre fasci sono, che si fanno le seghe con la Russia putiniana in cameretta, vedasi
@[macaco] ) che desiderano per i loro propri interessi o illusioni un cessate il fuoco in Ucraina, si trovano a concordare con la posizione di classe di un comunista. Non per questo però la posizione comunista ne viene intaccata o diventa ambigua. Ogni azione fa sempre, per quanto giusta e ideale, gli interessi di qualcuno che di giusto e ideale ha ben poco. Certamente però una posizione che un comunista non può prendere è quella di ARMARE ulteriormente un conflitto che presenta solo i caratteri del nazionalismo e dell'imperialismo.
Questo lo si scrive perché sul Deb (vedasi @[G] che mette sul sito la bandiera di una nazione in guerra per gli interessi di altri) come fuori da qui regna l'assoluta confusione e l'arroganza di prendere le parti in qualcosa che in senso stretto, come classe, non ci riguarda se non sotto forma di un doveroso umanitarismo (penso a chi lavora con i profughi o chi assiste semplicemente le vittime di questo conflitto), data l'attuale situazione, ben lontana dalla liberazione sociale del popolo ucraino: perché i russi quando avanzano non si trovano davanti forze popolari come i partigiani spagnoli contro i francesi, i vietcong, i partigiani comunisti come in Italia, Yugoslavia, Albania (etc...), non si trova un popolo intero oppresso DIRETTAMENTE dall'imperialismo schiavistico come in Palestina o in Yemen, ma solo un popolo disilluso da tempo sia da Euromaidan che dalle ingerenze russe, un popolo che non ha ancora trovato la propria strada e che subisce direttamente l'oppressione di classe (dal proprio paese) o internazionale (Russia o Europa/USA) non dall'invasione russa ma da molto prima.

In soccorso, per chiarire ogni dubbio, ci viene Karl Liebknecht, invocato da @[lector] :

" "Dal momento che siamo stati incapaci di prevenire la guerra, dal momento che è giunta a nostro dispetto, e dal momento che il nostro paese sta facendo fronte a un'invasione, dobbiamo lasciare il nostro paese privo di difese? Dobbiamo lasciarlo nelle mani del nemico? Il Socialismo non chiede il diritto delle nazioni a determinare il proprio destino? Ciò non significa che ogni popolo è legittimato, anzi in dovere di proteggere le sue libertà? Quando la casa è in fiamme, non si deve innanzitutto spegnere l'incendio prima di accertarsi di chi è l'incendiario?"
Questi sono gli argomenti che sono stati ripetuti tante e tante volte in difesa dell'attitudine dei Socialdemocratici (NdT: oggi il nostro centro-sinistra sulle note di "non dimentichiamoci chi è l'invasore", "c'è un aggressore e un aggredito" "gli ucraini sono come i partigiani")...ma c'è una cosa che il pompiere davanti alla casa in fiamme ha dimenticato: che in bocca a un socialista la frase "difendere la propria patria" non significa diventare c
Pillole della NOSTRA Storia (27)

"Mi sono chiesto di che cosa si stia veramente parlando.
E credo che ragione del nostro discorso
Non sia solo l’atteggiamento da consigliare a noi e agli altri
per la guerra del Vietnam
ma sia: l’uso della violenza.
Oggi molti la violenza costringe a non parlare.
A poche ore di jet da questo luogo. Come sapete: ammazzando.
E a pochi minuti da qui
- ben distribuita fra storiche architetture e autostrade –
Un’altra violenza
troppi più altri obbliga
con le armi dei bisogni falsi e veri,
troppi più altri obbliga
spaventati o distratti
a parlar d’altro
o a parlare solo apparentemente di quello di cui stiamo parlando.
Ma noi non ,vogliamo dire la penultima parola,
la consolante penultima parola
che ci fa sentire abbastanza onesti.
La penultima parola che è
la peggiore nemica dell’ultima.
[...]
Storia ed esperienza mi hanno insegnato
che si deve oggi tendere non ad unire ma a dividere.
A dividere sempre più violentemente il mondo,
a promuovere l’approfondita, la sola vera, la sola feconda divisione,
divenuta sempre più chiara, dolorosa e necessaria,
per entro l’unità creata dal mercato internazionale,
per entro l’unità determinata dal potere e dall’oppressione.
Vuol dire anzitutto distruggere le false divisioni del passato,
vuol dire vedere identificare interpretare
l’unità confusa e corrotta che oggi esiste.
[...]
chi vuol combattere quello che è,
la boria di quello che è,
la simpatia naturale che il potere ha per il potere,
e il partito d’opposizione per il partito al governo,
il rispetto naturale che il ministro prova per il ministro straniero
e il capo di un servizio segreto per il capo del servizio segreto emico,
chi vuol combattere l’alleanza tendenziale di quel che è
e vuoI combatterla in nome di quel che non è ancora
facilmente sarà accusato : di profetismo, di astrattezza, di moralismo,
di “ avventurismo piccolo-borghese”. Non è così che si dice?
Fatelo pure, dunque, se volete e vi nutre.
Domani potrà accadere qualsiasi cosa. Governi e poteri
potranno domani venire a qualsiasi compromesso, oggi inimmaginabile.
Non si resiste soltanto morendo.
Ma nulla potrà fare che non siano stati
questi anni di massacri assolutamente illuminati,
di una parte di noi stessi su di un’altra parte di noi stessi.
Nulla potrà togliere la certezza
che internazionalmente agire contro l’ordine del profitto
e contro la dissociazione degli uomini
è possibile e non è utopia. Che le mete formulate
cent’anni fa dal pensiero rivoluzionario
sono oggi più vicine che mai
per l’enorme carica di furore e di demenza
che s’è accumulata nelle case, nelle fabbriche e nelle armi dei potenti
e da quelle è entrata in noi a stravolgere – o avvicinare? - verità e vita.
Non so se questa sia una parola ultima. Ma chi dice
quasi tutta la verità è certo
il peggior nemico della verità. Chi parla solo dell’oggi
non vuole che il domani venga. Chi dice la penultima parola
è il peggiore nemico dell’ultima.
Mi sono chiesto all’inizio di che cosa si stesse davvero
Pillole della NOSTRA Storia (25)

Se di fronte al controllo delle vite di centinaia di migliaia di persone da parte di un oppressore che non solo pretende di governarle politicamente ed economicamente, ma che le riduce di fatto in schiavitù al punto di decidere la loro possibilità di determinarsi non solo come popolo, ma come individui, finendo addirittura per massacrarli sia ufficialmente che ufficiosamente quando lo trova più conveniente, si decide di tacere e non fare nulla, l'unica soluzione che resta agli oppressi è la violenza. Chi oggi è per la Pace in Palestina sta con Israele e non c'è di mezzo discussione su Hamas che possa tenere.
Le provocazioni e la violenza perpetrate a Gerusalemme in primavera e il massacro di Jenin passati sotto silenzio sono solo la punta dell'iceberg dell'arroganza assassina degli israeliani in quest'anno tremendo che ha visto il silenzio e l'indifferenza più totali anche nei confronti di un altro popolo oppresso, quello armeno. Così scriveva nel 1988 un sincero internazionalista e socialista armeno, morto combattendo in favore dell'annessione dell'Artsakh all'Armenia, disilluso a causa del silenzio dell'Unione Sovietica (ormai alla frutta) e di tutta la comunità internazionale rispetto a quanto stava accadendo (l'Artsakh ha smesso di fatto in questi giorni di esistere):

"Io credo che gli armeni di buona volontà manterranno rapporti amichevoli con i vicini azeri. Noi siamo consapevoli che nella Repubblica Socialista Sovietica dell'Azerbaijan ci sono veri internazionalisti, genuini comunisti, amici, e non dimenticheremo che questi compatrioti azeri hanno rischiato la loro vita per difendere gli armeni contro gli scatenati sciovinisti a Sumgait (vedasi il pogrom del 1988). E' una vera disgrazia tuttavia che gli ultimi eventi, in coppia con l'opposizione alla volontà del popolo dell'Artsakh da parte degli ufficiali azeri, stiano a indicare come a oggi gli sciovinisti continuino a controllare la repubblica. Per più di 60 anni questi sciovinisti hanno ignorato la volontà del popolo dell'Artsakh.
La loro criminale passività (quando non tacita connivenza) di fronte al massacro di Sumgait indicano che i veri comunisti azeri sono impotenti contro i razzisti"

(Monte Melkonian, 1957-1993)

Quanto scritto da lui vale all'epoca (e oggi) per la situazione armena quanto vale, da quando esiste, per Israele e gli israeliani.
La giornata non è rimasta casualmente senza commenti.
I Nuclei Armati Bovini si congratulano con tutti i Debaseriani e Debaserioti per la strenua resistenza al mondo cosiddetto postmoderno, anche se noi preferiamo definirlo postfordista.
Sarebbe facile sdoganare con urla concitate un bel "il 25 aprile non è una ricorrenza, ora e sempre Resistenza!". Appunto, troppo facile. Allo stesso modo sarebbe semplice sottolineare le volute oscenità storiche della destra di governo. Che la giornata sia sempre divisiva è un fatto, come è un fatto che ci rivendichiamo la sua divisività. Ogni polemica che puntualmente si scatena ogni anno anno in occasione di questa data non deve farci scattare sull'attenti per chissà quale espressione mediatica che ci fa infervorare o compiacere. Al contrario, bisognerebbe tacere, stare mesti, non per essere accondiscendenti con la borghesia di governo, sia essa di destra o di sinistra, ma per puntualizzare il NOSTRO punto di vista. Quale? Il punto di vista dei salariati e sfruttati, un punto di vista che non trova pace o soddisfazione, ma solo mura su mura, invalicabili: MISERIA! E qui si parla del Nord della Terra (il Dio Porco ci scampi dall'affrontare un discorso terzomondista, seppur doveroso). La Resistenza è rossa e per questo divide. Dal '45 oggi si vuole cercare di far passare il fatto una Resistenza NON Rossa in tutti i modi possibili con la più bieca aneddotica. La Resistenza è stata, resta e sarà rossa! BUON 25 APRILE A TUTTE E A TUTTI!

SpaccaStronzi - I padroni non servono a un cazzo
Pillole della NOSTRA Storia (22):

Difficile dire se ci rivedremo perché se abbiamo ragione noi finiremo tutti, te compreso, nel nulla da cui non esiste ritorno. Se hai avuto ragione tu invece non sarà escluso un bel rendesvouz infernale.
Quindi solo tanti saluti Joseph; a differenza dei mangiaostie a tradimento venuti a trovarti, noi abbiamo sempre preferito gli Iosif.

"Bisogna vederli quando uno dei loro piccoli grandi uomini è morto; si sentono come a casa loro in quella sublimità di paramenti, di bandiere e di messe. Si recano in folla ai luoghi di esposizione pubblica, uomini, donne, bambini piccoli avidi di buoni esempi. In quelle giornate ci sono grandi greggi nere silenziose condotte dalla polizia; quando cala la sera, quando il numero delle vetture diminuisce, si ode soltanto l’umido scalpiccio degli invitati in chiesa nei giorni di nozze e di funerali. I visi di pietra molle non agitano le labbra, le teste sono chine, il cuore di tutti è pieno di quel marciume chiamato “maestà della morte”. Un’attrazione magnetica e misteriosa li trascina accanto ai cadaveri come gli insetti che pascolano in fila sulle carogne dei piccoli animali; talpe, donnole, topi. Poveri di divinità, si sentono fortunati di aver un morto da adorare tra una ripresa e l’altra del lavoro. Nulla da mettere sotto i denti. Quante carogne. Essi fiutano il dolore pomposo delle famiglie importanti finalmente eguagliate alle schiere anonime. Che godimento avanzare tra ringhiere di legno, togliersi il cappello, fare “Nel nome del Padre”! Quel contatto li ricarica come vecchie pile. Godono dei loro morti e finalmente accessibili, con i loro denti sporgenti, le guance infossate e i sottogola."

Paul Nizan
Cosa imparare dal conflitto russo-ucraino?

In questi giorni tra noi compagni ne sentiamo di cotte e di crude. Chi, spinto da superficiali motivazioni umanitarie, manda aiuti o appoggia in pieno la causa aggressiva, nazionalista e pro-NATO dell'Ucraina senza nemmeno rendersene conto e chi, sia esso stalinista confuso, rossobruno o complottaro, ritiene per davvero che gli interessi russi in quanto anti-imperialisti verso gli yankee siano promotori del progresso sociale e addiritura dell'antifascismo (ahahah). Il tutto si risolve in una visione manichea in cui la giusta critica all'indifferenza di stampo gramsciano si trasforma invece in un tifo da stadio, dove si parteggia per una parte o per l'altra come quando da bambini la maestra ti chiedeva se preferivi Atene o Sparta (io ho sempre tifato la seconda). La grande assente di ogni discorso su questa storia è la coscienza di classe del compagno di turno con cui si parla e in realtà anche la nostra. Inevitabilmente nel discutere del conflitto si mettono sul piatto le ragioni storiche e geopolitiche, nelle quali un compagno attento su questi temi può trovare che un paese in meno nell'orbita imperialista yankee sia comunque un punto in più, ma resta che la politica, quella vera viene lasciata fuori dalla porta. Un vero compagno di fronte ad eventi come questo dovrebbe sempre ricordarsi della lezione di Lenin, che mentre impartiva la neutralità proletaria nel conflitto tra nazioni della prima guerra mondiale, coglieva due piccioni con un fava facendo la rivoluzione proletaria nel suo stesso paese ancora in gran parte feudale.
Quindi la lezione è sempre la stessa e ha più di un secolo: PENSARE A NOI STESSI! E con questo non si intende raggiungere una consapevolezza individuale e sociale da buddhista, ma si intende pensare ai propri interessi come gli interessi della classe sociale di cui facciamo parte. Mentre perdiamo il nostro tempo a crederci gli statisti che possono ragionare di geopolitica (come se fossimo noi a decidere di qualcosa), sarebbe meglio drizzare le antenne e analizzare la situazione presente e le conseguenze che questi fatti possono avere nella nostra vita. I fatti certi per noi sono pochi: un esecutivo (Draghi and Co.) come sempre ormai calato dall'alto, che cerca in tutti i modi una solidità che sia ok per il sistema economico europeo e internazionale, rafforzando l'autorità dei capitalisti nostrani e delle lobbies, che mentre piangono miseria in tv e si fanno portavoce di chissà quali riforme tramite i loro burattini politici, in realtà si fregano le mani per l'assenza di reale conflitto sociale (no vax e no green pass sono solo l'altra faccia del conformismo) che gli scorsi anni hanno imposto e continueranno a imporsi grazie ai vari stati d'emergenza, ormai necessari quanto le richieste di fiducia.
Mentre ci impoveriscono ulteriormente sfruttandoci il doppio pensiamo bene che il primo vero nemico è il salario che non ci manda sotto i ponti (ancora per poco). PENSARE SOLO A
Cosa imparare dal conflitto russo-ucraino?

In questi giorni tra noi compagni ne sentiamo di cotte e di crude. Chi, spinto da superficiali motivazioni umanitarie, manda aiuti o appoggia in pieno la causa aggressiva, nazionalista e pro-NATO dell'Ucraina senza nemmeno rendersene conto e chi, sia esso stalinista confuso, rossobruno o complottaro, ritiene per davvero che gli interessi russi in quanto anti-imperialisti verso gli yankee siano promotori del progresso sociale e addiritura dell'antifascismo (ahahah). Il tutto si risolve in una visione manichea in cui la giusta critica all'indifferenza di stampo gramsciano si trasforma invece in un tifo da stadio, dove si parteggia per una parte o per l'altra come quando da bambini la maestra ti chiedeva se preferivi Atene o Sparta (io ho sempre tifato la seconda). La grande assente di ogni discorso su questa storia è la coscienza di classe del compagno di turno con cui si parla e in realtà anche la nostra. Inevitabilmente nel discutere del conflitto si mettono sul piatto le ragioni storiche e geopolitiche, nelle quali un compagno attento su questi temi può trovare che un paese in meno nell'orbita imperialista yankee sia comunque un punto in più, ma resta che la politica, quella vera viene lasciata fuori dalla porta. Un vero compagno di fronte ad eventi come questo dovrebbe sempre ricordarsi della lezione di Lenin, che mentre impartiva la neutralità proletaria nel conflitto tra nazioni della prima guerra mondiale, coglieva due piccioni con un fava facendo la rivoluzione proletaria nel suo stesso paese ancora in gran parte feudale.
Quindi la lezione è sempre la stessa e ha più di un secolo: PENSARE A NOI STESSI! E con questo non si intende raggiungere una consapevolezza individuale e sociale da buddhista, ma si intende pensare ai propri interessi come gli interessi della classe sociale di cui facciamo parte. Mentre perdiamo il nostro tempo a crederci gli statisti che possono ragionare di geopolitica (come se fossimo noi a decidere di qualcosa), sarebbe meglio drizzare le antenne e analizzare la situazione presente e le conseguenze che questi fatti possono avere nella nostra vita. I fatti certi per noi sono pochi: un esecutivo (Draghi and Co.) come sempre ormai calato dall'alto, che cerca in tutti i modi una solidità che sia ok per il sistema economico europeo e internazionale, rafforzando l'autorità dei capitalisti nostrani e delle lobbies, che mentre piangono miseria in tv e si fanno portavoce di chissà quali riforme tramite i loro burattini politici, in realtà si fregano le mani per l'assenza di reale conflitto sociale (no vax e no green pass sono solo l'altra faccia del conformismo) che gli scorsi anni hanno imposto e continueranno a imporsi grazie ai vari stati d'emergenza, ormai necessari quanto le richieste di fiducia.
Mentre ci impoveriscono ulteriormente sfruttandoci il doppio pensiamo bene che il primo vero nemico è il salario che non ci manda sotto i ponti (ancora per poco). PENSARE SOLO A
Pillole della NOSTRA Storia (16)
Tra dentro e fuori non c'è nessuna differenza.

"Abbiamo tutti a che fare con una
difficoltà [...] sociale, di natura culturale e indubbiamente negativa: non siamo stati educati a vivere a lungo le contraddizioni. Una tale capacità, ovvero la resistenza interiore, richiede una forte modestia, un'accettazione cosciente dei propri limiti che cozza puntualmente con l'individualismo di cui i più vengono imbevuti fin da bambini. Può succedere allora che per esorcizzare la paura il cosciente compromesso sul comportamento si trasferisca pian piano in un compromesso della coscienza, spostando la soglia dell'invalicabile. E' l'inizio
della caduta sul cammino della disumanizzazione.
Descriverò ora questa eventuale caduta in modo inevitabilmente astratto. Descriverò cioè i
meccanismi che da un punto di vista ideale portano spesso un individuo a disumanizzarsi ma che, per fortuna, incontrano nella realtà delle resistenze, un andamento tutt'altro che lineare: si cade nel primo pezzo di percorso, ci si risolleva nel secondo...
La falsa coscienza è essenzialmente un far di necessità virtù, una graduale rimozione della
coscienza del conflitto, e della positività della sua esistenza all'interno della coscienza. La perdita dell'equilibrio interiore è una sorta di peccato d'orgoglio; si diventa incapaci di riconoscere i
propri limiti e capaci invece di mentire a se stessi. L'individuo costruisce allora una falsa unità - falsa perché impossibile - tra coscienza e comportamento. Egli si rappresenta così un mondo sempre più fantastico, in una spirale solipsista che credo simile a quella del paranoico, dove gli altri diventano sempre più irreali o surreali, sempre più “strumenti” o “ostacoli”. Il confine tra fantasticheria e realtà si fa sottile e confuso, come quello fra bugia e autoinganno. Per esempio avviene spesso che tra una cella e l'altra il desiderio di qualcuno diventi una «voce» la quale per altri diventerà notizia sicura da diffondere fino a diventare illusione collettiva. In tutte le carceri
di tutti i tempi e paesi si è sempre in attesa di un qualche progetto di clemenza o di un evento
che farà comunque cambiar le cose in meglio. Il bisogno di speranze diventa un atteggiamento
“infantile”, una attesa che affida ad altri il proprio avvenire rendendo sempre più labili i confini
tra la fantasia e la realtà [...] abbiamo a che fare con una regressione infantile, infantile perché deresponsabilizzante, deresponsabilizzante perché autogiustificante:
essa porta infatti il soggetto a trovare in sé una coerenza che può prescindere sempre più dal
comportamento rendendosene conto sempre meno. Il primo, infatti, si autorappresenta come
uno cui si deve molto perché è bravo, il secondo è uno che non deve niente a nessuno perché ha
ricevuto solo del male. E via via che il recluso si allontana dal senso della realtà, ci accorgeremo
che a ciò corrisponde l'accettazione della realtà imposta dal carcere. Mentre la mente c
Un mio amico, assistente di storia all'università, mentre interrogava uno sprovveduto si è sentito rispondere che l'11 settembre 1973 sono caduti sia Salvador Allende che le Torri Gemelle (magari se gli avessi detto che compie gli anni pure mia zia lo diceva che pure il suo compleanno cadeva quel giorno): Al di là delle risate, questo aneddoto, mi dà molto da pensare sul tempo e sulla sua relatività, anche nel nostro modo di costruirci una visione coerente del mondo: se non fosse un proposito, ma fosse già vero quel che si dice ogni volta, ogni anno, per un'altra data: 25 Aprile SEMPRE? La lotta per la nostra liberazione, poco ma sicuro, non si è conclusa quel giorno del '45 e si è andati avanti per quanto ancora fortunatamente si festeggi. Oggi, 12 dicembre, da festeggiare non c'è nulla, ma non ci si può non riflettere.
Se commemorarlo fosse solamente un tentativo di far passare gli stati mentali, emotivi e sociali di allora non riusciremmo a far rivivere nemmeno metà di quel vissuto ogni volta che ricordiamo la Strage, simbolo di tutte le altre. La mia e, credo quella di molti, nel ricordare, non è la volontà di creare coscienza, istruire chi non conosce, plasmare persone civili con il rispetto per la democrazia borghese e per le sue leggi, pacifisti in tempo di massacri, peraltro mai finiti. Ogni volta che qualcuno ricorda Piazza Fontana, Piazza della Loggia, la Stazione di Bologna, Reggio Emilia, Reggio Calabria etc...per quanto i liberali e democratici, anche capi di stato e presidenti cerchino di giocarla sporca, mostrandosi dalla parte delle vittime, esattamente come allora, riafferma volente o nolente un'altra verità: un conto non ancora chiuso, al di là di ogni iter giudiziario, al di là di ogni possibile condanna. Perché la Storia non si è mai chiusa, non si chiude e mai si chiuderà coi processi. Non si può chiudere un capitolo i cui protagonisti non hanno fatto altro che passare le loro disgrazie umane o le loro malefatte ai loro figli, come in un buon romanzo familiare che si rispetti. Quei morti non sono vittime di un carnefice, ma caduti nella lotta per la liberazione umana, per quanto alcuni di loro fossero inconsapevoli di starla conducendo. Non a caso altre stragi e soprattutto altre lotte si sono poi profilate all'orizzonte e sicuramente si ripresenteranno e i motivi saranno in fondo sempre gli stessi, per quanto ci si possa ammantare di post-modernità o di altre mode del momento.
Il 12 dicembre ricorda ogni anno che lo Stato NON siamo noi da sempre. E che da sempre, ognuno di noi è in lotta innanzitutto per la propria vita, non solo per viverla, ma per riaverla nelle proprie mani insieme agli altri.
TROPPO TEMPO

Da troppo tempo la discussione latita su questi lidi del Comindeb. Come diceva il Grande Timoniere con parole più alte delle mie, i reazionari hanno interesse a propagandare ideologie, religioni o stronzate idealistiche per mantenerci nell'ignoranza e nella fede di una realtà fissa e immutabile, che fosse dentro al mondo o al di fuori di esso. E così tra chi pensa alla Scienza come un dogma capace di spiegare tutto e di migliorare la nostra vita di per se stessa e tra chi decide di saltare sulla ruota tanto di moda del cazzo di Samsara o di qualche altro credo del cazzo, in questi tempi di crisi Noi ci troviamo in minoranza. Ma queste crisi degli ultimi, il nostro arrancare, questo ridicolo quasi-nulla di un virus che paralizza il nostro sistema e anche i nostri nervi quando addirittura non abbatte alcuni di noi ci dimostra che abbiano sempre avuto ragione. Magra consolazione in certi momenti come questo. Il 25 Aprile di per se stesso, nella sua natura, anche lui è dialettico e contraddittorio. Divide la società e unisce i cuori di molti che magari nemmeno tra loro però sono d'accordo. Perché in questa data c'è la rabbia di molti per ciò che si vive in questo mondo di merda, ma si rivive anche la gioia di una libertà non più condizionata per un ISTANTE dall'oppressione di qualcuno o qualcosa. È il movimento forse l'unica nostra fede. Il movimento di questa unica e sfaccettata materia che attraverso se stessa ci fa apparire le forme dello spazio e del tempo che ormai modifichiamo e arrucchiamo con le nostre mani in un continuo susseguirsi di messa in pratica e di ritorno alla teoria. Non credo nel progresso come non credo nel tempo ciclico, ma sappiamo che tutti che fanculo Dio, qualsiasi cosa essa sia, la nostra libertà sta nelle nostre mani e anche una volta conquistata non ci si potrà fermare in un socialismo mondiale. Niente resterà mai fermo, nemmeno la Nostra Utopia, se mai la realizzeremo. Buon 25 Aprile a tutti.
io ero sandokan
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