The Boogieman

Paolo Conte è un personaggio fondamentale della musica italiana di tutti i tempi. Un cantautore che sa giocare con le parole, dallo stile lirico unico e inconfondibile, così come lo è la sua voce, che può apparire a tratti nasale e rauca, ma subito ti accorgi che è l'unica che può interpretare magistralmente i testi del musicista astigiano. La sua carriera è, ormai, quarantennale e il suo mondo è il jazz e la musica leggera "colta". Colta perché per quanto possano apparire illogici o insensati i testi di Paolo Conte, dentro di essi si celano allegorie e metafore della vita, sogni onirici e illusioni fantastiche. E ancora oggi, a 73 anni, calca i palcoscenici d'Italia e d'Europa, ricco di energia e di voglia di non fermarsi mai.

Nel 2005 ritorna all'Arena di Verona. V'era già stato nel 1976 e in quell'occasione ottene il suo primo concerto di fronte ad uno sparuto pubblico. Questa volta ad ascoltarlo vi sono oltre dodicimila persone, incantate dalle melodie jazzeggianti, in un'altalena di ritmi e rapsodie.  E non si stanca mai, Conte: suona, insieme alla sua orchestra (Daniele di Gregorio, Jino Touche, Daniele dall’Omo, Massimo “Max Pitz” Pitzianti, Claudio Chiara, Luca Velotti e Lucio Caliendo), ben 22 canzoni, per quasi 2 ore di concerto. Non è ovviamente una serata dove il pubblico si scatena, urla, poga o nella quale Paolo Conte rompe gli strumenti, ma è una splendida serata di Musica. Serata d'Arte eccelsa, dove è facile perdersi nei suoni e restare estasiati dalla performance.

L'album si apre, però, prima con un inedito: "Cuanta Pasiòn", resa celebre anche per il fatto che è usata come sigla della rubrica di Vincenzo Mollica del Tg1. Dopo questa breve parentesi, può finalmente cominciare il concerto che si apre con "La donna d'inverno" (contenuta nell'album "Un gelato al limon" del 1979, il primo grande successo del cantautore) e si prosegue con la maggior parte dei grandi classici dell'artista, tutte arrangiate perfettamente dall'orchestra jazz che collabora con Paolo Conte. Sono eseguite, infatti, canzoni come "Alle prese con una verde milonga", "Bartali" e "Via con me", che, forse, sono anche migliori della loro versione in studio. Inoltre nel concerto c'è tantissimo spazio ad un elemento fondamentale del jazz, che è l'improvvisazione; ma non si deve pensare, però, che sia un "One man show", anzi questo concerto non è solo Paolo Conte, ma è anche la dimostrazione della bravura dei suoi collaboratori (soprattutto i fiatisti: Pitzianti, Chiara, Velotti e Caliendo), i quali danno sfoggio alla loro abilità. La maggior parte del concerto prosegue su ritmi compassati, ma non mancano delle gradevoli accelerazioni e canzoni più allegre (da intendersi come ritmo). Su tutte "Lo zio", famosa per l'assolo di kazoo di Conte e soprattutto la cavalcata "Diavolo rosso", dal testo arcano e dal ritmo incalzante, è un vero e proprio tour de force per tutti i musicisti (soprattutto per il chitarrista Daniele dall'Olmo) e che rappresenta l'esempio perfetto dell'improvvisazione jazz.

Il concerto termina con "La vecchia giacca nuova", ma il pubblico non ha voglia di andar via e chiama a gran voce i musicisti per un bis, al quale Conte e i suoi non si sottraggono ed ecco che viene riproposta la canzone più famosa dell'astigiano: "Via con me".

Poi, il concerto finisce davvero e resta il ricordo di una serata musicale da incorniciare. Il grande risultato di Paolo Conte è, secondo me, quello di suonare un jazz che non si chiude in se stesso, ma che, invece, decide di mostrarsi al grande pubblico e di affascinare anche gli ascoltatori che non sono amanti del genere. Insomma, un jazz gradevole a tutti e alla portata di tutti. Un bene? Un male? Spetta al pubblico deciderlo.

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