È possibile che non si dedicano due righe, fatta eccezione per pochi siti, a questo capolavoro? È possibile che un artista come Paolo Fresu possa essere acclamato in Francia, (dove, quando uscì “ Melos” nel 2000, rimasero scioccati da cotanta bellezza) e non in Italia? Perché, cari lettori, diciamolo chiaramente : Paolo Fresu in Italia non viene, a mio avviso, valorizzato abbastanza. Sono convinto che avrete da ridire su questa mia affermazione, come è giusto che sia, ma non è possibile che un album del genere da noi passi inosservato! Scavando tra gli archivi della rete, ho trovato articoli in tedesco, francese, spagnolo, portoghese che parlavano in maniera strepitosa di questo capolavoro di Paolo Fresu mentre in Italia, sui siti di musica (ripeto però, tranne pochissimi che trattano prettamente di jazz), non v’ è traccia di una recensione o, almeno, uno stupido accenno su “Melos” . E allora mi chiedo se lo conosceranno bene questi signori critici della rete un artista come Paolo Fresu! Addirittura, cari signori e signore, se andate su Rockol, uno dei maggiori magazine online di musica, non vi è traccia di alcuna recensione sul nostro. Ma la cosa che ancora più mi fa cadere le braccia è che una benedetta recensione su “Melos” la debbo fare io che sono un dilettante delle recensioni musicali e non uno del settore. Quindi, perdonatemi, ma inizierò io questo arduo lavoro.
È difficile mettere per iscritto tutte le emozioni che ho provato mentre ascoltavo “Melos” . Si vive in un mondo diverso, magico, dove un’aurea sensazione avvolge il corpo e la mente, rilassante e magnifica, un suono mediterraneo, che proviene dal mare e da lontano. Ma cos’è “Melos”? “Melos”, come dice stesso la parola, è canto, poesia, melodia, un divino rincorrersi senza fiato tra le note del pentagramma, descrizioni di vivide giornate solitarie e malinconiche, è l’amore perduto e infranto (“Que reste t’il de nos amour?”), sono tanti piccoli ritratti paesaggistici che raccontano di noi, delle nostre origini, una panoramica su tutti i nostri stati d’animo. C’è tanta dolcezza e tanta semplice armonia in questo lavoro corale dei fab four (oltre il mitico Fresu alla tromba, c’è Ettore Fioravanti alla batteria, l’attento e preciso Roberto Capelli al pianoforte e Attilio Zanchi al contrabbasso e il defilato sassofono di Tracanna) ma soprattutto c’è la gioia e la voglia di inventare nuove semplici melodie, leggere, sontuose, sospirate, sussurrate, dove anche il respiro ha un suono importante e melodioso. Commovente è “Lester” , omaggio all’amico Salis; nostalgico, invece, l’ omaggio a Nicola Arigliano (“Così”). Ma, a mio avviso, la vetta più alta di questo lavoro è rappresentata dall’ interpretazione di “Que reste t’il de nos amour” , amorevole rilettura di un classico di Charles Trenet che mi ricorda sempre volentieri molte scene del simpatico film di Truffaut “Baci Rubati” .
Quando ascolto e riascolto quest’album mi dimentico del mondo che mi circonda, dei problemi, dell’università, preferisco ascoltarlo in completa solitudine contemplando un punto fisso della stanza iniziando a vagare con la mente verso lande desolate, accoglienti, morbide, e mi lascio cullare dal suono della tromba. Se penso quanti proseliti ha lasciato il genio indiscusso Miles Davis, sparsi per il mondo, mi si accappona la pelle. Ma penso anche che, tra tutti questi, merita le prime posizioni un giovane di nome Paolo Fresu.
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