Ore 20.15, è la prima volta che partecipo ad una serata di uno dei festival, a mio avviso, più importanti di jazz nel panorama italiano ovvero il Pomigliano Jazz ma è anche la mia prima volta ad un set di Paolo Fresu!
Parcheggiamo l’auto e, in strada, nulla ci dice che, a momenti, sta per iniziare una grande serata di ottima musica… entriamo nel parco pubblico, raggiungiamo il palco centrale e ci posizioniamo in una dignitosa quinta fila. Perfetta visibilità. Tutto è pronto per la full immersion!
Alle ore 21.40, circa un’ora e dieci dopo l’ora prevista, entra sul palco Paolo Fresu con il suo quintetto che, per l’occasione, diventa un sestetto, facendosi accompagnare da un pittore che, istantaneamente, dipinge sulle note suonate.
Si inizia con “Que reste t’ il de nos amour”, rilettura del classico di Charles Trenet presente nel capolavoro “Melos”, e si prosegue con “On second line” sempre tratta da “Melos”. Il viaggio prosegue con altri pezzi tratti da “Kosmopolites” e dagli altri lavori facenti parte del progetto messo appunto dal quintetto in occasione del loro ventennale. Memorabile l’esecuzione di “Kosmopolites”, sognante. Immaginate le note provenienti dal piano che intarsiano quelle provenienti dalla tromba di Fresu e gli altri strumenti che, quasi in silenzio, seguono questo bellissimo dialogo, magico e innamorato, tra la tromba e il pianoforte, senza intervenire più di tanto per non disturbare.
Il pubblico applaude, Fresu continua a possedere flicorno e tromba, scalzo scalcia, si perde tra fraseggi spericolati, incanta con suoni melodici. Il pubblico si lascia andare ma non chiede il bis.
Si passa ad un altro grande della musica jazz, un giovanotto di origini vietnamite, che suona il basso e il contrabbasso in maniera divina e che, non per caso, è stato definito uno dei migliori bassisti del jazz contemporaneo. Il suo non è un normale concerto jazz bensì una fusione di generi, che va dal jazz classico, alle sonorità orientali, fino al funk più spietato e divertente. Mi ha letteralmente sbalordito!!! Ha una tecnica ineccepibile, abilissimo, suona il contrabbasso come se fosse una chitarra. Inizia il suo set con la coinvolgente “Feediop” tratta dall’album “At Home” e inizia a sbalordire una platea non proprio attiva (forse non troppo entusiasta del live di Fresu). In una scorsa edizione del Pomigliano Jazz, già si era fatto notare a fianco di Chick Corea ma ieri ha dato davvero spettacolo con il suo trio composto da due musicisti d’eccezione (uso in maniera consona questo superlativo) che vale la pena menzionare: Sam Barsh al pianoforte e al piano elettrico e Mark Giuliana alla batteria. Due musicisti strepitosi che hanno saputo destreggiarsi tra i virtuosismi di Avishai, dialogando con lui, senza difficoltà. Ma che dire della magnifica “Remembering”, ricca di fraseggi melodici, impressionista e distesa, momento precipuo della serata dove Cohen ha mostrato al pubblico anche le sue doti compositive…
Insomma un leader, un frontman, soprattutto, quando nel bis, si scatena in un funk indiavolato, coinvolgendo il pubblico, già riscaldato da lui a dovere precedentemente, e muovendosi, col basso elettrico, come se fosse un membro di un’importante rock band. Avishai Cohen, oltre ad essere un leggendario bassista, è anche un personaggio da tenere d’occhio nel circuito del jazz, da salvaguardare, in modo da non farlo diventare un fenomeno da baraccone! Questo valido e attento musicista è, prima di tutto, un uomo che ha il desiderio di far conoscere la propria musica, di esibirsi per passione e non solo per guadagnare a fine serata. E sono convinto che continuerà a sbalordire con le sue performance (che saranno sempre a scalare) sia il pubblico che la critica. E vi do un consiglio… prendete nota, se non l’avete ancora fatto, e non perdetevelo se giunge nella vostra città! Sarà una serata indimenticabile!
Infine, dopo questi due set, già di per sé appaganti, con un passo felino, giungiamo al Sound Jazz Cafè dove è previsto un terzo set di Enrico Pieranunzi e Ada Montellanico ma, purtroppo (o per fortuna), lo spettacolo è già iniziato da un’ora. Prendiamo posto, mi incanto a guardar suonare il mitico Enrico Pieranunzi che seguo da diversi anni ma, purtroppo, mi frastorna il canto di Ada Montellanico che, per quanto brava, non riesco più a sopportare dopo la terza canzone. È particolarmente interessante lo scat che lei improvvisa sulle note di “Mi sono innamorato di te” ma la sua non è il tipo di voce che particolarmente prediligo.
A fine concerto, dopo averli comunque applauditi vigorosamente, con i miei amici ci allontaniamo dal parco pubblico, mentre, dal palco incavo, riecheggiano ancora le note dell’IS Jazz Ensemble, e torniamo a casa, stanchi, dopo quattro ore e mezzo di jazz continuo, ma immensamente soddisfatti.
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