Tutti lo chiedono, tutti lo vogliono, ma non é Figaro. Purtroppo per loro.

The Place é una caffetteria di quelle divenute familiari per via delle frequenti scene in interna proposte dal cinema americano: ampie vetrate, sedute imbottite, un bancone che dall'ingresso si allunga fino a metà sala.
Il viavài continuo di persone lascia pensare si tratti di un locale molto frequentato a dispetto della posizione che si presume essere una tranquilla, anonima località della provincia nostrana.

Ed é quí, seduto sempre al medesimo tavolino di acciaio, che un enigmatico figuro trascorre le sue giornate.
Al suo cospetto si avvicenda una serie assortita di personaggi, ognuno smanioso di risolvere la situazione che lo affligge: dalla signora di terza età ancora troppo in forma per rassegnarsi a perdere il marito malato alla suora non abbastanza anziana da accettare a cuor leggero di sentir allentarsi il rapporto col suo Dio.
Dal giovane padre disposto a tutto pur di veder guarire il figlio dal male che lo sta portando via a quello più vissuto, un poliziotto determinato a recuperare il legame col figlio che lo ha rinnegato.

L'uomo del mistero appunta meticolosamente ogni singolo particolare dei racconti di questi sventurati su di un quaderno, poi lo chiude, lo ripone con cura, si prende un momento per riflettere e detta la soluzione.
Costruire un ordigno esplosivo, piazzarlo in un posto molto frequentato e farlo saltare.
Rimanere incinta, uccidere un bambino, insabbiare le indagini su un caso di violenza sessuale.

Non c'è nulla in questi compiti, affidati senza ulteriori istruzioni, che non si scontri coi comuni princìpi morali o la deontologia propria della professione dei suoi "clienti".
C'è invece qualcosa di perverso nell'osservare gli stadi che portano la disperazione di costoro a farsi spavento, poi senso di smarrimento di fronte ad un bivio ed infine fredda, lucida pianificazione degli eventi.

Vittime di un destino infame che divengono a loro volta destino infame di qualcun altro.

Ma come può un dolore, pur lancinante che sia, inibire ogni forma di remora riguardo i danni che procurerà una condotta sbagliata sotto ogni punto di vista?
E vale la pena pagare un prezzo salato quanto le conseguenze che tale condotta procurerà su sé stessi?

Mano a mano che si riavvicendano al tavolino dell'uomo senza nome, aggiornandone il quaderno di nuovi appunti sul progredire delle rispettive missioni, i protagonisti sbiadiscono ciascuno nella eco della propria coscienza, facendo un passo indietro rispetto a queste e divenendo, a loro insaputa, una forma di esercizio corale che scrive il finale da una prospettiva completamente diversa e sulla scia del quale desideri, aspirazioni e speranze si intrecciano.

Una lezione sul principio del libero arbitrio, inteso nella sua concezione squisitamente laica, che diviene protagonista involontario delle vicende di quelle che solo ad uno sguardo superficiale appaiono come marionette mosse per dileggio di un burattinaio sadico perverso.

La dottrina della grazia, indispensabile all’uomo per il raggiungimento della salvezza, si sfracella insieme con i suoi moventi passionali o razionali contro il concetto di ineluttabilità.

Un epilogo amaro può risultare spesso il solo possibile e, per qualche complicato meccanismo della mente, può essere anche essere riconosciuto come il più plausibile.

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Altre recensioni

Di  joe strummer

 Il film che voleva rivelare il mostro presente in ognuno di noi, perde quasi tutta la sua vena corrosiva nella fase finale.

 I personaggi sembrano burattini, funzioni diegetiche e poco più.