[Contiene anticipazioni]

Oltre al film in sé, ci sarebbero molte cose da dire nel confronto con il suo pluripremiato predecessore che ci confermano in modo cristallino la grandezza di Sorrentino.
Youth lavora in netta contrapposizione con La grande bellezza, sotto diversi aspetti. Recupera in primo luogo l'autenticità delle figure umane, ripristina la sacralità dell'arte come sfogo profondo dell'anima, ripudia le cadenze teatrali dei dialoghi, spegne la magniloquenza letteraria del dettato in favore di uno stile semplice e verace, quasi brusco, funzionale alla resa esistenziale delle sequenze. Toglie ogni ridondanza architetturale, ogni ricamo esteriore, annulla il coacervo urbano e lascia i protagonisti in uno spazio di austera essenzialità, un tempio quasi in cui i moti dell'anima vivono purissimi nelle azioni e nei dialoghi. Questa operazione di recupero del vero, dopo la sagra della falsità di due anni fa, è già di per sé una scelta di grande spessore, una prova di forte carattere.

C'è poi il film in sé, il suo sistema di valori e lo sviluppo di un discorso articolato intorno al tema della vecchiaia, della sua accettazione e del rapporto problematico con il passato, con quanto fatto nella vita. L'hotel tra le Alpi in cui si svolge tutto il film è in fin dei conti una specola da cui guardare alla vita, una bolla nello spazio-tempo che concede ai protagonisti di vedersi dal di fuori. In fin dei conti in Youth non succede quasi niente, tutto il discorso è incentrato sulle diverse modalità con cui i protagonisti si relazionano con il loro passato.

Mai come in questo caso è necessario parlare di come si conclude la pellicola per valutarne il portato. I tre profili principali sono ovviamente i due protagonisti Fred e Mick, ai quali si aggiunge la tremenda Brenda Morel, che nei pochi minuti della sua apparizione smuove lo scenario con grande violenza. A quel punto ci appaiono chiare le tre vie intraprese: Mick non riesce a chiudere i conti con la giovinezza, è morbosamente attaccato ad essa e quindi continua a fare il suo lavoro come se fosse ancora giovane. Al contrario Brenda Morel ha ripudiato in toto il passato e getta fango su tutto, anche su Mick, ferendolo mortalmente. Il trauma per la decadenza della sua bellezza si traduce in un veleno che corrode i sentimenti del suo mentore, in un egotismo esasperato e autodistruttivo.

Infine, Fred ha chiuso il suo rapporto con la giovinezza e con la vita nel suo complesso. È come se avesse attuato una rimozione per non affrontare i problemi ancora pendenti della sua esistenza. Lentamente però comprende la cifra della sua parabola, sia in negativo, riconoscendo i propri limiti di padre, sia in positivo, rendendosi conto delle sue doti eccezionali di maestro di musica quando istruisce il bambino o quando dirige i suoni della natura. La sua rimozione viene meno ed egli può infine riaprirsi alla giovinezza, che non significa cercare vane gioie nell'edonismo che la locandina potrebbe suggerire, ma nel rielaborare in modo costruttivo il passato, traumi compresi, come si vede nel dialogo con la moglie malata. La sua giovinezza è quindi una vecchiaia pacificata coi fantasmi della vita.

In qualche modo i temi si ricollegano all’ultimo, grande film di Nanni Moretti.

Sorrentino mostra grande sicurezza nel tratteggiare uno scenario psicologicamente non semplice: non ha bisogno di calcare la mano sui concetti, essi vengono snocciolati con naturalezza in un ordito filmico evidentemente rilassato, solido, che sa concedersi numerosi momenti di leggerezza. È questo l'approccio dominante, trattare le cose con levità, con una costante sfumatura ironica, come se tutto, anche i traumi più laceranti, arrivasse ovattato alla sfera sensoriale dei protagonisti e quindi degli spettatori.

La semplicità è tuttavia solo apparente: da sottolineare ad esempio il richiamo meta-cinematografico tra il film e il film nel film di Mick. Egli insieme ai suoi collaboratori non sa decidersi su come concludere la vita del loro protagonista; allo stesso modo, lui e i suoi amici sono in crisi di fronte alla fase conclusiva delle loro esistenze. L'indecisione di sceneggiatura richiama l'indecisione esistenziale e il fallimento del film-testamento segna inevitabilmente il fallimento della vita stessa del regista che quindi preferisce morire. È l'esatto opposto dell'arte vuota de La grande bellezza. Parimenti, l'apertura di Fred verso la sua vita passata si concreta nella riapertura verso la sua arte; egli può nuovamente dirigere le canzoni semplici, anche senza la moglie, perché ha risolto il problema di rimozione del passato.

Nel loro piccolo anche la figlia di Fred e l’attore Jimmy Tree sviluppano un conflitto: lei affronta la sua paura di vivere attraverso la metafora dalla scalata alpina, l'attore combatte la sua frustrazione lavorativa smettendola di lagnarsi per ruoli non suoi e iniziando a prendere in mano la sua carriera. Sono due filoni un po' schematici ma riproducono in miniatura lo scontro tra chiusura sterile, l'orrore, verso la vita e la rielaborazione dolorosa ma fertile dei traumi, primo fra tutti lo scorrere inesorabile del tempo.

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