Non è il film più riuscito di Virzì, su questo non ci piove, ma pur con qualche leggerezza di troppo e una struttura non sempre brillantissima, riesce comunque a snocciolare un grumo di commozione e di significati esistenziali che abbracciano l'esperienza di ognuno, che toccano le corde profonde di ogni essere umano.

Lentamente, ma con metodo infallibile, ci addentriamo nella vita dei due anziani coniugi protagonisti. Con perfetta calibratura ci viene detto tutto di loro, pur nei dialoghi occasionali e negli episodi più insoliti di un viaggio improvvisato su un camper antico. Il copione è preciso, chirurgico, pur non avendo quell'acume tagliente di cui godeva per esempio La pazza gioia. È come se la lingua inglese avesse creato un diaframma che allontana la sensibilità del regista livornese dalla sua espressione drammaturgica. La scrittura è (forse troppo) meditata e si perde un po' di quell'istintività che sgorgava dai personaggi in altri film.

Resta intatta la capacità di cesellare le personalità dei protagonisti, scorrendo avanti e indietro nelle loro biografie, sfruttando in molti casi i problemi di memoria del povero John. Si va così a formare un mosaico di episodi, di personalità differenti che si armonizzano nelle figure di due teneri anziani ancora innamorati. E il viaggio è un pretesto, un'occasione per raccontare e raccontarsi le proprie vite insieme, per guardare diapositive e cercare di ricordare chi siano le persone presenti. Un pretesto per assaggiare quei meravigliosi dolcetti alle mandorle, per addentare un hamburger e prendere la vecchia cara Route 1.

Poi, da un simile quadro di dolcezze e pungoli agrodolci, si riesce a distingue un particolare grumo nero. La morte, l'amore tradito, la fatica quotidiana di sopportarsi, la malattia. Non è tanto importante il finale, quello che sarà di Ella e John, ma la capacità dell'opera di guardare in controluce l'immagine di un amore che non si spegne, cogliendone tutti i significati. Ma non quelli che si spiegano a parole, bensì il senso epidermico di una vita condivisa, quel prendersi cura a vicenda nelle piccole cose, quel “nonostante tutto”.

Tutta la delicatezza del ritratto coniugale, che è quasi una lettura filosofica sull'esistenza, si concentra in pochi dettagli vertiginosi, in un momento di amore carnale mai così tenero e umanamente vulnerabile, e per questo invincibile e imperituro.

Temi non freschissimi, ma pennellati con felicità negli sguardi del regista e nelle interpretazioni sentite di Helen Mirren e Donald Sutherland. Non c'è molto da aggiungere, se non che i protagonisti di Virzì ti accompagnano sempre un po' anche fuori dalla sala, permangono come presenze gentili. Si avrebbe voglia di conoscerli davvero, Ella e John, di sopportare per qualche ora le infinite disquisizioni su Hemingway, oppure i racconti dettagliati di amori adolescenziali e vicende familiari. Così, per la bellezza delle loro imperfezioni.

7/10

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