Dave Pajo e il suo tocco cristallino, profumato. Intona bucoliche filastrocche accordandosi con il buffo gracidare di uno scacciapensieri nel languore di uno stagno dove saltella qua e là una pigra drum-machine.

Dave Pajo ed i suoi puerili giochi country che duettano con un pensieroso banjo mentre un esile rigagnolo psichedelico scorre all’ombra dell’armonia e brilla debolmente di tesori di ricordi antichi.

Dave Pajo e i suoi gioiosi acquerelli che provano a staccarsi da una sorda e disturbante cornice elettronica.

Dave Pajo ed i suoi rigagnoli psichedelici che, a poco a poco, mutano in un fiume colmo di desideri ed elettricità dove naviga sicuro il battello ebbro di un impavido sitar.

Dave Pajo e le sue piccole bizzarrie sonore che fioriscono nello stesso giardino dove i Gastr Del Sol andavano a riposare.

Dave Pajo ed i suoi fiumi psichedelici che, a poco a poco, mutano in una fresca pioggerellina battente che scioglie le mura di zuccherose melodie.

Dave Pajo ed i suoi pseudonimi, la sua mano leggera e saporita, le sue frasi dove è presente solo il necessario. Incrocio tra Verlaine e Stendhal che, in questo disco, va a collocarsi tra il Rosso del crepuscolo ed il Nero della notte per dipingere romanze senza parole dove prendono vita le emozioni che non hanno un nome e che mai l’hanno avuto.

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