In attesa del nuovo disco dei Paradise Lost, "In Requiem", mi appresto a recensire quella loro fatica forse più criticata dai fans. 'Host' appartiene a quel periodo in cui questi inglesi seguivano le orme dei Depeche Mode, e chiude il dittico aperto da "One Second". Oltre a chiuderlo, ne è inoltre il rappresentante più autorevole, nel senso che è forse l'unico tra i loro dischi in cui non vi sia la più piccola traccia di metal. Insomma, nulla a che vedere con dischi come "Gothic" o "Shades of God", ma neanche col loro ultimo lavoro "Paradise Lost".
Effettivamente si può rimproverare una certa scarsità di originalità, altra caratteristica non tipica per la band in questione: personalmente, ho trovato questo disco troppo uguale non tanto a "Exciter" delle loro muse ispiratrici, quanto a numerosi dischi loro degli inizi. Non mancano però dei pezzi molto interessanti: ho trovato "In all honesty" la migliore in assoluto, anche per qualche riff che vi appare (si nota una curiosa somiglianza vocale con Dave Gahan); molto interessante anche "Wreck", pezzo particolarmente sognante, che ricorda un po' anche gruppi del tipo degli Enigma o dei Positively Dark. Degne di nota inoltre "Harbour", altro pezzo particolarmente tranquillo e vagamente sinfonico, "Made the Same", pezzo più commerciale, e infine "Permanent Solution" e "Deep", caratterizzate da sonorità più dark che nel resto dell'album.
Insomma il più rilassante dei loro lavori, non brutto anche se non geniale. Un disco assolutamente per i fans, che nonostante tutto, non toglie alcunché a questa strepitosa band, che tenta continuamente di evolversi e agli esordi diede vita e nome a un intero genere, il Gothic Metal: a tal proposito, sarebbe facilissimo notare come questa definizione sia stata spesso abusata e attribuita ad alcune band che non hanno nulla a che vedere con il genere (come gli Evanescence), se si ascoltassero, anche un po' distrattamente, i primi tre lavori dei Paradise Lost, soprattutto "Gothic". Onore dunque a questi inglesi, nel bene e nel male.
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