Se avete in mente il Park Chan-wook di "Oldboy", e vi ha affascinato, lasciate perdere. "Decision to leave" (che in Italia avrebbe dovuto intitolarsi "La donna del mistero", ma, fortuna nostra, l'idea venne abbandonata) è un giallo, seppur sui generis, più vicino a Hitchcock (e difatti la base di partenza è l'eterno "La donna che visse due volte", copiatissimo fin dagli anni '70 da Brian De Palma & Co) in cui viene cancellata ogni forma di violenza e le scene di sesso sono talmente fugaci che nemmeno ce le ricordiamo più a fine film. Va detto che, pero', il film è magnifico, quantomeno affascinante, e si sviluppa con una narrazione circolare e ritmata che non lascia scampo allo spettatore, fino ad arrivare all'incredibile, sospeso, finale col protagonista perso tra le onde del mare.

Si diceva di Hitchcock. La trama è semplice: un poliziotto deve indagare sul caso di un uomo che sembra, e sottolineo sembra, deceduto accidentalmente dopo una scarpinata in montagna. Spunta la moglie, molto più giovane del defunto marito, che non sembra così dispiaciuta del nefasto accadimento. Il poliziotto, pian piano, se ne innamora, e tra i due nasce un qualcosa che verte, pericolosamente, a metà tra l'amore e l'infatuazione momentanea. La donna non è così estranea alla morte del marito (non si spoilera come e perchè) ma il nostro poliziotto viene trasferito, non prima d'aver insabbiato tutte le prove contro la donna. Tredici mesi dopo, in un altro distretto di Busan (città portuale della Corea del Sud, dove è ambientato il film) il poliziotto deve risolvere un altro caso più o meno simile, e si ripresenta la donna del caso precedente. Di più non si puo' dire.

Il regista gioco con lo spettatore come il gatto con il topo, inserendo indizi fuorvianti e suggerendo il sesso attraverso i gesti e non l'atto in sè (il primo vero momento in cui i due capiscono, o almeno lui crede, di amarsi è durante una cena in commissariato, dove vengono inquadrate le mani dei due protagonisti, il cibo e delle occhiate fin troppo evidenti) e a metà film, proprio come accadeva in "La donna che visse due volte", comprendiamo la non estraneità della donna nel decesso del fu marito. A quel punto anche la nostra percezione nei confronti dei protagonisti muta: odiamo lei, compatiamo lui. L'ultima mezz'ora è un crescendo di situazioni che gettano il poliziotto in un inferno, prima lavorativo e poi umano, da cui sembra non esserci (come in effetti sarà) una via d'uscita.

E' un giallo sui generis, come si diceva precedentemente, in quanto lo stile visivo di Park Chan-wook non è quello di Hitchcock, è più schizzato, movimentato, anarchico, in alcuni casi voluitamente confusionario, e non disdegna l'uso della tecnologia nella soluzione finale di alcuni raccordi narrativi, ma l'idea di saltabeccare da un punto all'altro della storia aprendo porte che non si sa se verranno mai chiuse è tipicamente alla Hitchcock, così come "Decision to leave", alla fine, si può considerare un giallo a tutti gli effetti. Unica nota di violenza (ma ce ne vuole davvero) il morso (quasi) mortale di una tartaruga.

Presentato a Cannes 2022, dove vinse la Palma d'oro come Miglior Regista, Park Chan-wook sembra aver svoltato. Un film così, davvero, non ce lo si aspettava, e certo non è piaciuto a tutti. I suoi estimatori l'hanno trovato "ammorbidito", ma è una vecchia storia, come quando, dopo "Pulp Fiction", uscì "Jackie Brown", che è bellissimo, ma il pubblico, all'epoca, si aspettava forse un seguito del film precedente. I grandi autori non restano mai uguali a sè stessi, altrimenti non sarebbero grandi.

Carico i commenti... con calma