Mi sono serviti alcuni anni per mettere insieme la mia collezione di cd di Pat Metheny, ora ne posseggo 32, ne vado fiero. Non è stato facile reperirli. Ho viaggiato, indagato, chiesto, spulciato tra le mensole dei negozi per approfondire la conoscenza dell'artista che ha cambiato completamente i miei gusti musicali, l'unico artista a cui ho detto (e l'unico cui direi) in faccia "I love you Pat", alla fine di un concerto del trio, l'unico artista di cui conservo in teca plettro, autografi e biglietti dei concerti. Eppure, nonostante la grande stima e la gioia che quest'uomo mi sa dare con la sua musica, devo ammettere che qualche suo lavoro mi ha lasciato delle perplessità.
Vorrei citare un vecchio album del 1977, "Watercolors", che mi deluse per il contenuto scarno e poco significativo. Vorrei citare e recensire "Imaginary day", che è di 20 anni dopo, il mio primo album del PMG, il mio primo acquisto, nel 1997. E va detto che in quell'anno acquistai la cassettina quasi d'impulso, senza sapere cosa stavo acquistando, perchè avevo sentito solo un pezzo fino a quel momento di Pat, ed era "Renato's Theme", tra le altre cose eseguita sul palco del festival di Sanremo l'anno precedente (grazie Pippo Baudo), e mi era piaciuta così tanto, che mi ero deciso ad acquistare qualcosa di suo, sperando di rigustarmi le atmosfere godute quella sera in tv. Commisi un errore terribile. "Imaginary day" era davvero troppo distante da quello che mi aspettavo. Così, ostinatomi a trovare quel benedetto pezzo ascoltato a Sanremo, mi recai velocemente ad acquistare a caso, una seconda cassettina di Pat. Andai avanti così per 4 album, quando mi accorsi definitivamente che non mi sarei più scostato da quella musica, e mi decisi a scoprire dove poteva arrivare la prolificità di un artista come Metheny. Ma veniamo all'album.
"Imaginary day" nasce nel 1997, etichetta della Warner Bros (sarà la prima e l'ultima volta) e segue al curioso "Quartet" uscito solo un anno prima, e rappresenta una definitiva fase di appannamento del PMG, suscitando forti perplessità negli stessi artisti leader, soprattutto per i cali di tensione durante le esibizioni live, ed dell'assenza di entusiasmo percepita nell'ambiente. La formazione è composta naturalmente da Metheny e Mays, 7 pezzi su 9 sono composti insieme, Rodby al basso, Wertico alla batteria, vari percussionisti e validi multistrumentisti come Blamires e Ledford. Di fatto c'è poca compattezza e manca il collante "spirituale" tipico del PMG. E' una produzione sofisticata, fatta di ricerca di suoni, cura di dettagli infinitesimali ma, per contro, decisa perdita di freschezza. Numerosi gli accostamenti di generi che però fanno un po' deragliare il conosciuto sound del group. Vorrei citare una frase di Antoniodeste che mi ha colpito, per cominciare la rece di questo lavoro: "album penalizzato da desideri di modernismo malriusciti".
Apre il disco "Immaginary Day" che prende ispirazione dalla musica gamelan indonesiana, ma è francamente un po' pesante. Segue "Follow me", riccamente orchestrata, limpida e solare (con Rodby al violoncello), un pezzo pop-fusion non memorabile. Saltiamo l'insignificante intro "Into The Dream" per arrivare alla blueseggiante "A Story Within The Story", discreta melodia, credibile per il group, certo non innovativa. Ha una struttura piacevole ed interessante "The Heat Of The Day", tra il flamenco e il folk iraniano. Questo pezzo è probabilmente il migliore dell'album, che purtroppo non ha molto da ricordare. Passiamo alla discreta ballad "Across The sky", fino alla rivoluzionaria (wow che volo pindarico Pat) "The Roots Of Convenience" a tratti di matrice trash-metal (le venature rockettare sono anche interessanti, ma viene da chiedersi perchè si è arrivato a solcare anche questa strada, nel senso "proviamole proprio tutte". Mancanza di identità o forzatura delle idee???). Da videogame. "Too Soon Tomorrow"riporta alla calma (ballad) e "The Awakening" chiude l'album dimostrando comunque una buona attenzione ai dettagli e all'orchestrazione (ma ricorda "Facing west" quindi già sentito).
Non credo che molti ascolti permetteranno di apprezzare meglio questo lavoro. Purtroppo non è che un album di amministrazione, costruito, come gli altri, sui ritagli di materiale preparato da Pat e Lyle, ma con la sensazione che questo progetto sia un po' un rimasuglio di tutto quello che il PMG aveva espresso negli ultimi anni. Una curiosità per chiudere: da ricordare, soprattutto del live, l'incredibile strumento utilizzato da Pat, la 42 corde prodotta dalla liutaia americana Linda Manzer la "Manzer Picasso 42 corde". Mostruosa!
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