Antefatto

Leggo sul giornale locale che il 6 agosto Pat Metheny sarà presente come ogni anno alla rassegna internazionale "Ai confini tra la Sardegna e il jazz" di Sant'Anna Arresi. Lancio un'imprecazione e mi incazzo come una iena affamata, perché mi rendo conto in un baleno che, per un motivo o per l'altro, perderò per l'ennesima volta un suo concerto.
Dopo un paio di giorni, sullo stesso quotidiano leggo che lo spettacolo che Fiorello avrebbe dovuto tenere ad Alghero - 30 km da casa mia - è stato annullato e sarà sostituito il 7 agosto da un concerto: Enrico Rava Quintet with Pat Metheny.
Tutto quadra, posso andare, apriti cielo, Dio c'è e ascolta il jazz.

Nell'attesa

La serata è fresca, tira un forte vento di maestrale, che solleva la sabbia del litorale di Maria Pia, dinanzi al quale sorge l'anfiteatro all'aperto dove si terrà il concerto. Ciò, però, non sembra scoraggiare i tantissimi appassionati - ancora increduli - che si radunano davanti al botteghino. Uno sguardo intorno ed una constatazione: ci si conosce un po' tutti. In fondo a questi concerti ci sono sempre le stesse facce, forse è meglio così.
Ci mettiamo in fila per i biglietti, sviluppando ironicamente i ragionamenti teologici, relativi alla fortunata circostanza che ci consentirà di ascoltare il chitarrista americano, tra l'altro inserito in un contesto inusuale, ma eccitante, per la bravura dei musicisti del quintetto di Enrico Rava. Parlando ci rendiamo conto che la tensione emozionale sta pian piano crescendo.
Prima di prendere posto - effettuata la doverosa scorta di birra - mi soffermo a fare due chiacchiere con un ragazzo che vende cd jazz in una bancarella. E' un grande appassionato di musica, che conosco di vista già da un po', perché gira tutte le rassegne jazz dell'isola, vendendo i suoi cd, tra l'altro spesso ricercatissimi. Mentre spulcio avidamente la mercanzia, mi racconta del concerto che Metheny ha tenuto a Sant'Anna Arresi il giorno prima. Elettrizzato mi anticipa che assisteremo certamente a un grande spettacolo musicale: "È gente che ha voglia di suonare, che non si risparmia. Vedrai... se sarà bello solo la metà del concerto di ieri sera, sarà comunque splendido." Ullalà! Se prima ero curioso adesso mi riscopro in fibrillazione.

 

Il concerto

Verso le nove e mezza la serata viene aperta da Paolo Angeli, che per una mezz’oretta disorienta con piacere il pubblico con i suoni campionati della sua chitarra sarda preparata, spaziando tra una miriade di generi: folk, rock, avanguardia, free jazz, etnico, psichedelia. Interessante musicista e ottimo aperitivo. Memorizzo il nome.
Passate le 22 sul palco fa il suo ingresso tra gli applausi il gruppo. La formazione è da brividi: Enrico Rava (tromba), Andrea Pozza (pianoforte), Gianluca Petrella (trombone), Roberto Gatto (batteria), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Pat Metheny (chitarre).
Pochi convenevoli, molti sorrisi e si parte con la musica, alla grande già dall'inizio. Non hanno bisogno di scaldarsi, sono già roventi. I due brani di Enrico Rava, che aprono la serata, vengono iperdilatati fra ripetuti assolo, duetti e trii, che nella frenesia dei suoni marcati e accesi mettono subito in evidenza l'impronta caratteristica di tutto il concerto: la grandissima personalità di tutti i musicisti, che suonano alla pari. Sul palco in realtà non c'è una stella, ma ce ne sono sei e questo sorprende ancor di più se si pensa - ad esempio - che il trombonista è davvero giovanissimo (classe 1975). Ma Gianluca Petrella dimostra di non avere alcuna sudditanza, perché è un vero istrione capace di lanciarsi di continuo nelle jam sessions, alternando la ricerca di note alte a quelle grevi. Straordinario, un musicista da tenere sott'occhio. Enrico Rava ... che dire. Un vero signore: poche parole, sguardo ironico, tanta musica e la capacità di fare cose semplici senza farsi prendere la mano, rimanendo sempre misurato e caldo, sia nei momenti meditativi, che in quelli più esuberanti. Forse ci sono trombettisti migliori, è vero, ma sinceramente non c'è un suo concerto al quale abbia assistito di cui mi sia pentito. Poi si sa che Roberto Gatto è miglior batterista jazz italiano, un musicista di spessore internazionale, che non perde mai un colpo mostrando quasi sempre quel sorriso che ti fa capire la sua gioia nel suonare. In breve, di certo non è uno che timbra il cartellino e si intende a meraviglia con tutti riuscendo ad essere il motore della serata: una garanzia. Rosario Bonaccorso, invece, accompagna i suoi assolo con la voce. Canta, dunque, e fa cantare il contrabbasso. Non l'avevo mai sentito, ma mi ha proprio sorpreso la sua vitalità, oltre la raffinatezza delle sue esecuzioni e la timbrica dei suoni che è capace di generare. Andrea Pozza, d'altra parte, elabora al piano geometrie ricche, supporta intelligentemente lo sviluppo dei fiati, dà sempre un segno importante e significativo della sua presenza nel gruppo con linee melodiche espressive, progressioni attente ed efficaci. Musicista intelligente, fantasioso e talentuoso, per di più anch'egli giovane e da osservare con attenzione. Pat Metheny, invece, lo conosciamo bene un po' tutti, ma ascoltarlo dal vivo è davvero un'altra esperienza: è semplicemente un prodigio. Con la chitarra fa quel che vuole, dando sempre l'impressione che sia la cosa più semplice di questo mondo. Sono, ad esempio, pazzesche le esecuzioni che fa in sincrono ora con Rava, ora con Petrella, ora tutti e tre insieme alla velocità della luce.

Grande tecnica, ma al servizio della melodia e non di una musica autoreferenziale. Se ne ha una prova più concreta nella parte centrale della serata, quando con il solo Rava il chitarrista inizia a snocciolare un'interpretazione più bella dell'altra, alternando per ognuna di esse una chitarra diversa. Così si passa da standard meravigliosi quanto celebri ("My Funny Valentine", "Summertime") ad una vera e propria chicca, ovvero una bossanova ammaliante di Jobin: "Insensatez". Questa spezza il ritmo del concerto, dando davvero i brividi.
E il tempo continua a passare, senza che sia possibile rendersene conto, con un omaggio a Duke Ellington ("Sand"), che i sei musicisti tirano all'infinito. La chiusura della serata viene affidata ad una composizione di Metheny ("When We Were Free"), che consente al musicista del Missouri di scatenarsi letteralmente oltre l'immaginazione, agendo di continuo sulla pedaliera per elaborare una pioggia torrenziale di note che travolge letteralmente il pubblico, ormai in piedi ad acclamare i musicisti sotto il palco.

Conclusioni

Morale della favola: tre ore e mezza piene di musica, un treno di passione vera e viscerale che ha travolto tutti. Una serata unica, degna di un palcoscenico come Umbria Jazz, ma verificatasi per una circostanza fortuita, un caso, un segno del destino ad Alghero. Insomma, Fiorello ti voglio bene.

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