Cos’è mai l’amore? un mistero insondabile, indecifrabile, inclassificabile.
Ti perdevi nei tuoi pensieri, mentre cercavi soluzioni armoniche efficaci, arricchendo la tavolozza sonora di clusters, terzine, sestine, glissati, ostinati… Niente, non riuscivi.
Poi d’improvviso, l’illuminazione: ti voltasti per un istante, era Annette che ti accarezzò con i capelli passando dietro di te.
Infine, un solo sguardo, di sbieco, sporgendosi dallo sgabello del pianoforte ed ecco la poesia: lei che reclina il capo, il riflesso di luce della stanza che la illumina di traverso, poi un sorriso, solo per te.
Eccolo, nella sua abbacinante bellezza, il mistero dell’amore.
“Closer”, ovvero, più vicino.
Guardare quegli zigomi disegnati da Dio, quella linea così imprecisa che percorre il volto eburneo e gli occhi, quegli occhi.
Poche, significative note nel registro medio del pianoforte, con miriadi di spazi e silenzi assieme e attorno alla melodia, pieni e vuoti, tra i tasti neri e bianchi del pianoforte.
Così mi piace immaginare la genesi di questo disco: l’amore di Paul per Annette Peacock, in un caldo pomeriggio d’estate.
Il pianismo di Paul Bley è questo: parziale, una mirabile sintesi della musica colta europea e del jazz coevo statunitense, con un orecchio all’avanguardia. “Ida Lupino” sembra un Lieder di Schumann, come se fosse suonato da Schoneberg.
la Title track, una palese dimostrazione che less is more, nella propaggine opposta delle melodie intricate a tutto pianoforte di Bill Evans o i tour de force titanici di Cecil Taylor.
Paul Bley è una foglia che si posa leggermente sull’asfalto, dolce fibra dell’universo.
Le note del suo piano attraversano in sordina lo spazio-tempo, come una piccola stella, che da nana gialla diventa una gigante rossa in un solo istante, per poi esplodere in mille pulviscoli e detriti nel multiverso delle emozioni.
L’analisi delle tracce potrebbe concludersi qui, perché non necessaria.
“Open, to love” è un unicum, che si districa tra le pieghe dell’indicibile, confessando a cuore aperto la fragilità e la caducità dell’uomo di fronte ai misteri della creazione.
"L'amor che move il sole e le altre stelle", citando il sommo poeta, la resa di fronte al sentimento che tutto crea e tutto distrugge, declinato attraverso il vernacolo jazzistico e la sensibilità di un pianista fuori dal tempo.
“Open, to love” va ascoltato in cuffia, in perfetta solitudine, percependo i respiri e i mugugni di Paul Bley, mentre disegna un arco nel cielo.
Oltre le stelle. Salùt.
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