Proseguo nella mia attività di ascoltatore di musica sconosciuta segnalando un gruppo statunitense: i Peña.

I Peña sono un gruppo anomalo per varie ragioni. Punto primo, sono un gruppo totalmente strumentale, punto secondo, nel loro organico compare dapprima il batterista, e poi il resto. Infatti, dal sito: Micheal Scarano (drums), Nick Sullivan (bass), Aaron Ray (guitar). Il gruppo di Denver ha esordito nel 2005 con questo disco praticamente autoprodotto. Non hanno avuto successo, se non in città.
Il loro sound è basato su "melodic repetition, progressive builds, schizophrenic transitions and the occasional crushing wall of noise". Non male! Bene, non resta che ascoltare il disco (“Human Circuits”).

La prima canzone, anzi, composizione è "First / Outer / Inner / Last", un lungo pezzo che non tradisce la descrizione che essi stessi ci propongono della loro arte: la batteria di Scarano non fa che assecondare le melodiche ripetizioni di Aaron Ray, che spesso sembra voler suonare come Tom Verlaine in "Marquee Moon", o volerne semplicemente ripercorrere le epiche gesta. Nella prima composizione questo gli riesce piuttosto bene, meglio che nelle successive.
"First / Outer / Inner / Last" è un pezzo variegato, nonostante le ripetizioni. Pur sviluppandosi lungo 6 minuti e mezzo, non c'è mai la voglia di balzare avanti, soprattutto trascorso il terzo minuto, dopo il quale la chitarra di Ray si produce in un'ottima melodia.

"Nordale" inizia con il ticchettio di un orologio, per poi sfociare in quello che già è possibile delineare come lo schema solito del gruppo: Scarano e Ray si producono nell'inventare la melodia e Sullivan li segue. Le composizioni possono sembrare molto simili, dopotutto la mancanza di una voce che sovrasti il tutto si fa sentire, ma se musica strumentale dev'essere, che sia. "Nordale", come la precedente, si basa sulle ripetizioni quasi alla Math-rock dei Caballero, per poi variare e crescere dai 2:00; la chitarra di Ray abbandona la ripetizione e si fa molto potente e piacevole. Dai 4:00 un altro interessante stravolgimento cambia tempo e melodia. "Himalayan" inizia con il basso di Sullivan, a cui si sovrappone presto la chitarra di Ray, seguita da Scarano. Si intuisce subito che la traccia sarà particolarmente lunga. E così è: 10 minuti e mezzo. La composizione sembra illuminata da luce soffusa, sembra quasi stanca. Il primo pezzo dura circa 3 minuti, poi la periodicità tipica del gruppo si esprime in un ricominciare dall'iniziale riff di basso e così via. Stavolta, però, si accelera un po', e si sente. Poco prima di metà canzone c'è la prima variazione, che però sfuma in un quasi "eterno ritorno dell'uguale", se mi si passa la citazione. Citazione errata, visto che qualcosa cambia: verso i 6 minuti la canzone sfocia in un rabbioso riff di Ray, promosso a pieni voti da me e dalla batteria di Scarano. Ai 7 minuti e mezzo un altro rallentamento stravolge tutto, fino ad arrivare alla fine, non particolarmente interessante. Finita questa maratona, ecco che ne inizia un'altra, solo di un minuto più breve.

"White Walls", pur essendo globalmente variegata e diversa dalla precedente, ne ricalca lo stile, ed è piuttosto banale ed inespressiva, eccettuato un passaggio dopo la metà del brano. Lo stesso non si può dire per la successiva "The Monarch", che ha (e lo si capisce subito) più ritmo. Non è però interessante come le precedenti, seppur più variegata ancora. "70% Water", invece, è bellissima: non tecnicamente, ma melodicamente; sembra quasi una ninnananna. Certo, è molto lenta e statica, può non piacere affatto.
Siamo arrivati alla fine: "Garden Level" sembra partire come un pezzo dei Radiohead, e così finisce, senza stravolgimenti, poiché dura solo 2:54. Cosa dire ? Un genere musicale rarissimo, nessuna voce, pezzi molto lunghi. Se vi piacciono queste cose, comprate il disco, altrimenti lasciate perdere: lo detestereste.

Quattro dei sette brani sono scaricabili su http://www.penamusic.com/

VOTO 6,5/10 L'Esattore

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