Quando un gruppo attua una svolta la critica è quasi sempre divisa in due frangenti: quella più tradizionalista, legata al sound più caratteristico e canonico del gruppo e poco favorevoli a certi cambiamenti che immancabilmente lo critica... e dall'altra parte quella più favorevole all'evoluzione artistica e al rinnovo del sound che giudica la svolta come un'ottima scelta se le nuove sonorità si rivelano interessanti e non votate alla banalità.

Probabilmente anche per i Pendragon sarà stato così, ma la maggior parte dei fan anche vecchia data sembrano aver notevolmente decantato questo "Pure", ottavo studio album della band britannica. La band dopo una serie di album di neo-prog romantico e sinfonico sentiva l'esigenza di dare un tocco di rinnovo al proprio sound. Ci aveva già provato con "Believe", orientato su un approccio maggiormente acustico con spunti hard rock e momenti più atmosferici a tratti pure arabeggianti; ora quest'esigenza di rinnovo si fa sentire nuovamente con un approccio nuovamente diverso. Stavolta spuntano addirittura elementi metal, sperimentazioni elettroniche molto attuali, arrangiamenti orchestrali, senza però alterare il sapore atmosferico delle loro composizioni. Una dimostrazione di come la band sappia rivelarsi ancora molto fresca a livello di idee e ancora in grado di regalare sorprese. Nelle canzoni non sembra esserci infatti traccia di prolissità e nel complesso l'album non suona come qualcosa di già sentito. Diciamo che l'album si può considerare un capolavoro che non sfigura nemmeno di fronte a classici come "The World" e "The Masquerade Overture"; il titolo di miglior album del 2008 attribuito da Class Rock Society non penso sia attribuito casualmente e sostiene ampiamente le mie opinioni.

Facendo panoramica sulle tracce che compongono "Pure" troviamo un'opener davvero trascinante, "Indigo", brano di 13 minuti che presenta chitarre molto rocciose, diciamo anche inusuali per il gruppo che era abituato ad un approccio decisamente più delicato. Arpeggi massicci che strizzano l'occhio ai Tool e riff metal-oriented che vengono uniti a tastiere arricchite di suoni nuovi e decisamente più sperimentali e a tratti anche più "mellotronici"... mentre il finale ci regala un bell'assolo di chitarra accompagnato da soffici tastiere. "Eraserhead", con i suoi 9 minuti di durata, vede un Clive Nolan ispiratissimo nelle orchestrazioni che non rinuncia ad inserire passaggi più elettronici. E poi vi è la suite di 17 minuti "Comatose", divisa in tre movimenti (separati anche in tracce audio) ma da considerarsi un unico brano, come indicato sul retro. La parte prima "View From The Seashore" comincia delicatamente con le tastiere ma poi attacca con riff molto metal che diventano poi più hard rock e spunta anche qualche passaggio prog vecchio stile, qualche suono in stile mellotron e prima di attaccare la parte successiva rimaniamo colpiti da come Clive Nolan riproduce con le proprie keys un arrangiamento da orchestra d'archi; immediato l'attacco con la parte successiva, "Space Cadet", caratterizzata da una melodia molto vivace con arpeggi di chitarra sostenuti da un bel gioco ritmico e da buone tastiere e vi è anche qualche spruzzata hard rock. L'ultima parte "Home And Dry", decisemante mal legata con il resto della suite, è invece più triste e delicata. Chiusa la suite veniamo accolti dal brano più breve, "The Freak Show", dove rispuntano riff metal e melodie decisamente orecchiabli. Chiudiamo con "It's Only Me", 8 minuti delicati e atmosferici che garantiscono una conclusione rilassata ma degna di nota.

Un ottimo album uscito in un anno, il 2008, forse un po' povero a livello di uscite prog (almeno secondo le mie conoscenze). Dai Pendragon ci si può attendere ancora molto... ed io sto a guardare!

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