Salve ragazzi, con la mia prima recensione ho scelto di parlare di un gruppo New prog spesso dimenticato (poi ne spiegherò i motivi) ma che a mio avviso ha contribuito (assieme ai Marillion e agli Iq) a riportare in auge un tipo di musica che sembrava ormai spazzato via.
La principale accusa che si può muovere ad un gruppo New prog è quella di essere derivativo, poco originale, volutamente citazionista. Se molte volte effettivamente i lavori di questi gruppi appaiono poco innovativi o sperimentali, è altrettanto verò che i "figli" del prog settantiano hanno spesso composto opere di spessore, che non sfigurano di fronte a quelle più celebrate in passato.
Licona di questo sottogenere del progressive sono senza ombra di dubbio i Marillion, guidati da un leader magari un po' troppo debitore verso un certo Peter Gabriel, ma a suo modo istrione e dotato di un'indubbia tecnica teatrale che lo ha reso famoso per circa un decennio. Gli Iq sono stati invece l'altra faccia della medaglia: meno spettacolari, meno dotati tecnicamente, con un leader meno carismatico e con un seguito effettivamente minore. Hanno comunque contribuito al genere con alcuni bei dischi che sicuramente non sfigurano nel panorama degli anni '80.
I Pendragon hanno scelto invece di perseguire un obiettivo: seguire le orme dei "maestri", scegliendo però un approccio meno teatrale e volutamente più melodico. Spesso proprio per questo sono stati oggetto di aspre critiche, molti li hanno definiti "un gruppo pop che vorrebbe essere prog". Non è proprio così ed album come questi lo dimostrano. "The Window Of Life" non è sicuramente il disco più famoso del gruppo guidato da Nick Barrett ("The World" del 1991, che lo precede e "The Masquerade Overture" del 1996, sono forse i loro capolavori ), ma è quello che ne codifica la proposta sonora, che sostanzialmente rimarrà immutata fino ai giorni nostri.
"The Walls of Babylon" ci proietta subito in un atmosfera maestosa e misteriosa molto (forse troppo) simile a "Shine On You Crazy Diamond", ma che comunque regala 4 minuti di pura poesia. Tutto poi cambia e la batteria ed il basso si fanno presenti, con un incedere alla "Watcher of the Skies", che conduce poi il pezzo verso atmosfere più tipicamente rock fino alla conclusione. Più melodica è la successiva "Ghosts", che si affida alla bravura del tastierista Clive Nolan ed a un cantato di Barrett piuttosto sottotono (spesso proprio le parti vocali saranno il loro tallone d'Achille). Il brano comunque scorre bene e presenta degli interventi solistici di buon gusto melodico. Uno dei pezzi più noti dei Pendragon è sicuramente "Breaking the Spell", che è forse ciò che meglio esprime lo spirito del gruppo e ciò che più questo ama: prog romantico e sognante, con lunghi assoli di chitarra e tastiere in primo piano. Nell'introduzione Barrett non sfigura alla voce, e quando parte l'assolo di chitarra si resta increduli di fronte alla grande bravura del chitarrista: incisivo, ma mai invadente, con soluzioni sempre interessanti che non fanno annoiare. Un brano che un vero amante del prog dovrebbe assolutamente ascoltare.
"The Last Man on Earth" è il brano più lungo del disco (con i suoi 14 minuti e mezzo di durata), e nella prima metà ricalca le sonorità intime e avvolgenti del brano precedente. Successivamente la batteria ed il basso si fanno più pulsanti e il tutto si fa più aggressivo e più prettamente prog, con cambi di tempo e assoli di chitarra. "Nostradamus (Stargazing)" ha un incedere più poppettaro e commerciale, con un ritornello ripetutto troppe volte e alla lunga noioso. E' sicuramente il punto debole dell'album. La conclusione è affidata alla bellissima "Am I Really Losing You?", un gioiellino finale delizioso ed affascinante, perfetto come chiusura di un concerto. La voce di Barrett è qui in simbiosi con la musica, ed il lungo assolo finale ci riporta la mente alle atmosfere rarefatte "Soon" degli Yes, come a chiudere il cerchio delle citazioni cominciato con "The Walls of Babylon".
In conclusione quindi un disco non perfetto, ma pienamente sentito e suonato con convinzione (dote rara in un genere come il prog fatto spesso di eccessivi tecnicismi), che fa delle emozioni e non della tecnica il suo punto forte.
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