I CCCP sono stati uno dei gruppi punk più importanti e influenti degli anni ’80. I C.S.I. sono stati l’unico gruppo a proporre un’alternativa intellettualmente valida alla (benemerita) ondata postpunk degli anni ’90. I P.G.R. invece, ennesima reincarnazione di Ferretti e soci, non hanno saputo elaborare un progetto che partisse da basi altrettanto solide e innovative.

Questo disco lo conferma. La formazione, priva di Massimo Zamboni, propone ora, sotto il nuovo nome, una sorta di world music che riprende suoni e ritmi del tutto inconsueti per la band e il suo pubblico. Personalmente ascoltandoli ho pensato che deve aver avuto una qualche influenza anche un disco di Andrea Chimenti del 1992, “La maschera del corvo nero”, che sicuramente il gruppo ha ascoltato e conosce bene (produzione di Maroccolo e Magnelli). Purtroppo il risultato finale è deludente. Credo che il problema principale sia rappresentato dall’eccessivo spazio che il gruppo ha concesso alla coppia (nella musica e nella vita) Magnelli - Di Marco, secondo me punto debole della band fin dai C.S.I. In particolare il suono saturo e monotono delle tastiere, ribattezzate con irritante presunzione “magnellophoni”, creano un clima di perenne imbarazzo, all’interno del quale qualsiasi altro suono risulta svilito e privo di mordente.

Il risultato di questo lavoro, documento live della band (uscito nel 2003), è addirittura peggiore dell’album di studio. Infatti propone i brani nuovi che, al momento del concerto, il gruppo aveva composto ma anche rielaborazioni di pezzi del repertorio, con risultati allucinanti. “Unità di produzione” (dall’album Tabula Rasa Elettrificata del 1997) che aveva nel giro di basso profondo e robusto la sua spina dorsale, viene proposta sotto un diluvio di tastiere eteree, sognanti, ingenue, datate. Il canto, filtrato da un improbabile vocoder, si perde in un mare di accordi stile “pianola Bontempi”. Relegata in un angolo, se tendete l’orecchio, sentite vagamenete la chitarra di Giorgio Canali. Tabula rasa mortificata. Manca quella dicotomia, rappresentata dal botta e risposta Ferretti – Zamboni che rendeva così personale e riconoscibile il suono dei lavori precedenti.

Persa la parte visionaria, anarchica, rumorista della band, il gruppo non sta in piedi. Il risultato è che la voce ieratica di Ferretti non trova più il contraltare del suono graffiante, sbilenco e improvvisato del chitarrista ma solo tastiere, tastiere, tastiere. Zamboni dove sei?

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