Che tipo strano e unico Pete Townshend: unanimemente considerato tra i grandi chitarristi caposcuola inglesi... lo è senz'altro, ma con incredibili limiti in fase solistica, a riguardo proprio di tocco e destrezza, nei quali è praticamente al livello di un ragazzotto quasi alle prime armi. Per uno che ha passato sessant'anni con lo strumento addosso, registrando decine di dischi e suonando migliaia di concerti, ciò è sorprendente: una vera idiosincrasia! E' un fatto che Townshend abbia bisogno di suonare le corde almeno tre alla volta (ossia suonare una ritmica) per essere un grande.

Altra caratteristica estrema del nasuto Pete è il contrasto fra la sua popolare immagine fisica ed epidermica di musicista rumoroso e spettacolare, prototipo ed esempio per tutti i rocker, schizofrenicamente parallela al complesso e soffertissimo suo travaglio mentale, per certo derivato da grandi traumi giovanili e mai risolto negli anni, malgrado il successo artistico, l'agiatezza economica, il conforto religioso delle dottrine orientali (accostate e fatte proprie sin dai giovanili anni sessanta e mai più lasciate), le tante canzoni ed opere rock prodotte, nelle cui liriche sono magistralmente veicolati i malesseri, le irrisolutezze, le paure, le delusioni, le depressioni del nostro.

Townshend eponimo dell'artista tormentato e paranoico allora, ben lungi dalla classica rockstar tutta ego e testosterone, indaffarata a gozzovigliare, scopare, spendere e spandere, insomma godersi egocentricamente e senza remore i privilegi del ruolo; un autentico cantautore, macerato e fardelloso come neanche i più tetri colleghi italici anni settanta, colla differenza che lui ci aggiungeva poderose schitarrate in stile windmill (spettacolare mulinamento del braccio a trecentosessanta gradi, a colpire le corde con inusitata violenza e compattezza), incredibili salti sul palco, ma soprattutto progressioni armoniche e melodiche da manuale, energia ritmica a livelli atomici, lucida abilità di arrangiamento, esemplificata ad esempio da un accostamento al mondo dei sintetizzatori personalissimo e brillante.

L'intricata personalità artistica di Pete richiede uno sforzo notevole per essere penetrata ed effettivamente accettata. Nei suoi album da solista non c'è la voce di Roger Daltrey ad appagare la passione per il rock ben cantato, da ormai tanti anni a questa parte manca pure il genio melodico/ritmico del basso di John Entwistle a dare incredibile valore aggiunto ai due solisti, per non parlare dell'irruente ed unico tambureggiamento di Keith Moon, passato ad altri mondi ben trentacinque anni fa. Townshend qui è l'unico protagonista e allora tocca beccarsi le sue depressioni, il suo dispiacere rivolto alla moglie da cui si è appena separato ("I'm Afraid", bellissima), l'eterna lotta contro la bottiglia di cognac, il patema di non essere stato un buon padre per i propri figli e tante altre eterne insicurezze.

Quest'opera è l'esempio più lampante dell'artista che lavora per sé stesso, per raccontarsi senza filtri, solo in un secondo momento sperando che ciò possa essere effettivamente rappresentato in teatri e stazioni radio, insomma avere successo: costituisce in effetti un musical, pensato per la radio ed il teatro, registrato e pubblicato su disco con tutta la farcitura di dialoghi e personaggi protagonisti della storia, sovrapposti alla musica che così perde i suoi connotati di raccolta di canzoni e passa al ruolo subalterno, se non di colonna sonora, quantomeno di racconto musicato.

Tale racconto riguarda una rockstar invecchiata (e chi mai sarà?), che decide di isolarsi dal mondo rimanendo in contatto solo col suo manager, con una giornalista cinica e opportunista e infine con una fan devota e ingenua. Sono questi i personaggi principali della vicenda, mentre l'alter ego di Pete è descritto a rimuginare, dolersi, arrabbiarsi, rivendicare la sua unicità ("English Boy").

"Psycoderelict" fece un notevole buco nell'acqua, inevitabile data la confezione altamente non commerciale specie per i non anglofoni. Per questa ragione fu in seguito pubblicata anche una più accessibile versione "Music Only", con diversa copertina, che consiglio sicuramente... si perde lo spirito dell'opera voluta da Townshend, ma emerge con forza il valore assoluto di alcuni brani...dopotutto è in azione uno dei più grandi compositori di musica popolare contemporanea.

L'insuccesso del disco spinse l'autore a soprassedere per sempre con le opere a suo nome, dedicandosi da quel momento in poi solo alle rentrée con gli Who, in sostanza alla celebrazione del lato più popolare e accettato della sua carriera, con l'eccezione di "Endless Wire", l'album accreditato al gruppo del 2006 ma costituito per buona parte da un ulteriore sviluppo della storia di "Psycoderelict", beninteso con Pete e non il riottoso Daltrey alla voce solista. Il buon Roger, personaggio virile e pragmatico, decisamente più stabile e risolto, ha sempre dovuto impegnarsi a fondo nell'"entrare" nei personaggi e nelle liriche spesso pessimistiche e depresse create dal suo geniale, ma non poco introiato partner.

La versione originale dell'opera è per chi ama e rispetta fino in fondo le espressioni artistiche, quella "music only" per chi vuole ascoltare del rock e delle canzoni, senza badare troppo al loro messaggio.
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