È il 1973, e Peter Hammill ha da poco lasciato i Van Der Graaf. Dopo "Fool's Mate", primo suo album solista in cui riproponeva vecchie canzoni dei Vdgg mai pubblicate, ora Peter torna con il suo secondo album da solista che dovrebbe essere il "primo" vero album.

Dovrebbe , poichè questo cd è veramente molto, forse troppo, eterogeneo, con canzoni che sono simili, solo, a blocchi di due-tre... Ma andiamolo ad descrivere.
"German overalls", "Dropping the torch", "Slender threads" e "What is it worth" sono canzoni appunto simili, tutte voce\chitarra acustica (qualche volta interviene sparutamente il sax di Jackson qua e là come in "German overalls" ma per il resto regna la rigida formula voce-chitarra). Discorso uguale ma opposto per "In the end" ed "Easy to slip away", in cui invece passiamo alla formula voce-pianoforte.

E questi sembrano essere proprio gli episodi più riusciti del disco: soprattutto "In the end" è un pezzo eccezionale in cui dopo le prime strofe la voce di Hammill nel ritornello si eleva nell'aria volando e facendo volare insieme al suo crudele piano. Quasi altrettando bella è "Easy to slip away" proiettata "in viso" direttamente con un giro di piano cattivo e bellissimo, eppoi proseguita con un'invocazione ancora una volta ai vecchi amici Mike e Susie della celeberrima "Refugees" dell'album "The least we can do...".
È una supplice preghiera questo ritornello, che Hammill, perduto e disperato, getta al cielo in nome di una salvezza di cui è sempre alla ricerca... Disperatamente bello "Rock and role", che, come il titolo fa presupporre, è un pezzo rock, il più devastante del disco, l'unico forse insieme a "In the black room", in cui hammill usa la formazione al completo (evans alla batteria, potter al basso, jackson al sax e banton alle tastiere). Suggestiva la parte in cui hammill canta "At impossible speeeeed..."
"In the black room" è l'unico pezzo veramente prog dell'opera, ed inizia facendoci letteralmente sobbalzare, poichè segue una tranquillissima "Dropping the torch" ed inizia senza stacco con quest'ultima ma con un mostruoso riff di sax per poi continuare con un martellante giro di piano. La canzone poi si evolve nella seconda parte "The tower" in cui in cui Hammil si diverte ancora a farci venire degli "infarti" urlando all'improvviso "Rats run", "Snacks coil". La canzone si chiude con "In the black room II" con il flauto suadente di Jackon.

In conclusione un album come ho detto "a blocchi", che è ancora di transizione nella carriera del musicista di Manchester, almeno secondo me. Un pò di omogeneità in più avrebbe fatto senz'altro bene all'insieme.

Carico i commenti...  con calma