Dicembre del '74 (ma il disco porta la data del '75) e tornano i Van Der Graaf Generator. Tornano sì, perchè, a dispetto di un album fortemente hard-punk rock, sui generis per i VDGG, qui li vediamo tutti all'opera al servizio del quinto album solista di Mr. Hammill. E dico "tutti", perchè finalmente quel recalcitrante di Hugh Banton decide di mettere da parte i dissapori col suo leader e collaborare anche lui alla piena riuscita dell' opera. Quello che ne viene fuori è un disco, appunto, atipico ma che ha comunque la sua bellezza (sono di parte comunque, in questo, perchè giudico quasi sempre come oro tutto quello che l'ex leader dei Van Der Graaf Generator fa...) e che si dice ispiratore del nascente punk di Johnny Rotten e soci, e di certo Bowie, soprattutto di Diamond Dogs.
Le Canzoni.
Si parte colla title-track "Nadir's Big Chance", un pezzo fortemente hard-rock, devastante nelle sue parti di batteria di Guy Evans, specialmente dopo la parte "until your body' s rigid and you see the stars" ("finchè il tuo corpo è rigido e vedi le stelle"): dichiaratamente punk nel testo, assai breve per la verità, figuratevi che si conclude con un inno che è quasi un "Anarchy In U.K." ante litteram, poichè Hammill canta "smash the system the song!". Una frase impensabile fino a qualche anno prima e ripensando ai primi, drammatici VDGG. Fondamentale anche qui, come in tutti i lavori di Hammill, il sax sferzante di David Jackson.
"The Institute Of Mental Hearth" è una canzone scritta col vecchio amico Chris Judge-Smith, ed è introdotta da una marcetta semi-seria di Evans, cui si aggiunge un altrettanto ironico sintetizzatore con uno strano e curioso giro, cui si aggiunge ancora il coro dei vari Hammill sovraincisi. Strano esperimento.
Con "Open Your Eyes" si torna al rock, con un orecchiabile e leggero giro di sax di Jackson; dopo la seconda strofa, "I told her I was dancing", il gruppo crede di essere diventato improvvisamente i Deep Purple e Hugh Banton James Lord: infatti egli mette in scena un lungo solo di organo degno di quel grande tastierista e di quel grande gruppo hard-rock.
Stesso discorso, ma in tono minore, per "Nobody's Business": pezzo rock anche questo, ma da segnalare solo per il rauco e miagolante cantato di Hammill, che si profonde in vocalizzi altissimi sulla scia del ritornello "Oh, you' re nobody's business". Poi c'è comunque anche il prepotente basso di Hugh Banton subito dopo la parte della canzone che fa "And you're tired and forlon\And you're no-one!" che dà modo a Evans di chiudere e ripartire alla grande con dei devastanti colpi di piatti sulla batteria...
"Been Alone So Long" è forse la canzone migliore dell'album (anche questa è scritta da Judge-Smith), una struggente ballata per chitarra acustica, sax e batteria, sulla solitudine di chi non riesce più a trovare nessuno da amare, tanto da scordarsi "what's it's like\feel somebody next to me" ("...cosa significa avere qualcuno accanto a me..."). La fortuna di questa canzone, una delle poche famose di Hammill, e che sarà ripresa in vari best-of e live, è dovuta proprio al fatto di essera una canzone standard strofa-ritornello-strofa-ritornello, cosa molto rara nel repertorio hammilliano.
"Pompeii" è una dolcissima e malinconica canzone sull'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e sulle sue conseguenze per gli abitanti e il paesaggio vesuviani: il testo ci trasporta un attimo prima dell'eruzione, mentre fanciulle con ghirlande di fiori danzano e i vari commensali festeggiano bevendo vino, e mentre due innamorati guardano lo spettacolo offertogli e il vino nei loro bicchieri si fa irrimediabilmente amaro... Gli strumenti contribuiscono bene a creare un'atmosfera sognante sospesa tra realtà e fantasia, con una dolce chitarra acustica che sussurra note di ninna-nanna...
"Shingle" è invece una canzone cupa, depressiva, che ci riporta a umori più consoni allo stile hammilliano: "beneath the caterwaul of scattered call of wind" "sotto i miagolii di una sparsa folata di vento" il cantante (mi verrebbe da dire "il poeta": deformazione professionale, visto che studio Lettere, o irresistibile bellezza hammilliana?) scorge ancora l'immagine dell'addio della sua donna, stando di fronte alla riva del mare, in mezzo al turbinare di tutti gli elementi atmosferici (sensazione, questa del vento, ancora una volta ben resa dal sax di Jackson).
"Airport" è sempre una canzone disperata, ma questa volta con un anelito di riscatto, una voglia di rivalsa, di poter ancora fare, ancora dire qualcosa: "Believe me, I don't want you to leave me" canta infatti Hammill, e qui, senza bisogno di tradurre, si capisce che il cantante eleva una protesta contro un suo eventuale abbandono da parte dell'amata: da segnalare, qui, la presenza di una tromba a dare un tono un pochettino più "epico" all'argomento sentimentale.
"People You Were Going To" è una canzone del sessantanove, qui riesumata come già accadde con "Ferret And Featherbird" nell'album "In Camera": poco interessante, se non per certi effetti irritanti di accordi di piano e batteria "insistente".
Con "Birthday Special" si torna di nuovo al rock dopo quattro pezzi di genere diverso: ma è una canzone in certo senso "allegra" e ironica, che parla di una ragazzina che festeggia il compleanno tra pantere, lucertole e pappagalli. Non mancano tuttavia anche qui i lati poco chiari, come quando Hammill dice di voler fare di questo compleanno "il più bello che tu abbia mai avuto". Smargiassata sessuale? Alllegria da festaiolo? Ai filologi il duro compito di trovare la soluzione.
Si chiude con "Two Or Tree Spectres", altro capolavoro insieme a "Been Alone So Long", un pezzo lungo sei minuti, trascinato da un irresistibile giro di sax di Jackson, poi un rullare della batteria di Evans, un altro giro di Jackson che continua la frase di prima, e infine tre colpi fortissimi di Evans sui piatti a chiudere tutto il jingle e a ripartire. Tutta la canzone è così, e su questo divertissement s'innesta un cantato molto "parlato" di Hammill, con un testo molto lungo e mai variato melodicamente. Ma è quel ca*** di giro di sax e batteria che ti manda in estasi e che non ti fa avvertire la manifesta ripetitività del pezzo, e che lo rende uno degli episodi più riusciti del disco.
In conclusione, un disco "atipico" per Peter Hammill, ripeto, in cui di Progressive non c'è praticamente niente, e che forse proprio per questo non piacerà ai più intransigenti amanti del genere, ma che a tutti gli altri appassionati di musica rock potrà dire forse qualcosa di molto buono...
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