L'avvenimento doloroso per eccellenza, quello della fine di un rapporto; la voce dolorosa per eccellenza, quella di Peter Hammill; l'artista, compositore per eccellenza, ancora Peter Hammill. Se è vero - e fidatevi che è vero - che il contesto (emotivo, culturale ecc.) influisce sulla qualità di un disco, allora questo Over era un capolavoro ancora prima di essere materialmente un disco. D'altronde un gran disco (come un gran libro, un gran film, un gran quadro) nasce se c'è qualcosa da esprimere, da raccontare, da riversare in note, in parole, in gesti, in immagini.

L'inizio è veemente e aggressivo con la Godbluffosa "Cryin' Wolf". La nostalgia, la sofferenza insorge in brani come "Autumn", brani che a mio avviso sono i più belli dell'opera; un po' come nel precedente disco, in cui preferisco le belle ballate classiche che gli innovativissimi pezzi aggressivi e pre-punk. Ma chiudiamo la nostra parentesi su Nadir e torniamo a questo: Time Heals è un lungo brano molto "variabile" che però, anche nei frangenti più spavaldi, denota un malessere di fondo. Un po' come quei film in cui la tragedia arriva subito dopo il momento di massima gioia e spensieratezza, per intenderci con una (bruttina) metafora. Ma i capolavori nel capolavoro sono l'intensissimo orchestrale di "This Side Of The Looking Glass" e nella lunga "Lost And Found". Bella, intensissima anche Betrayed, in un tripudio di archi, strumento per il quale ammetto di aver sempre avuto un debole.

Over è il non plus ultra dell'artista di Manchester, Over è un disco che esiste da sempre (quante opere esistono sul tema? ) che aspettava solo di trovare l'artista adatto a cristallizzarlo nella miglior forma nella quale potesse essere concepito, e questo è Peter Hammill, esperto come pochi di torture e sentimenti umani (e qui ha fatto scuola col generatore, vedasino "H to He Who Am The Only One" e "Pawn Hearts") nonché - naturalmente - compositore, musicista, cantante di primissimo livello, Autore di tanti altri capolavori prima e dopo. 

Un osservazione: la copertina è, a mio avviso, meravigilosa. Il nostro Peter si staglia su una malinconica finestra, che dà su un malinconico e freddo paesaggio, solo con la sua chitarra, sua unica compagna rimasta e suo braccio destro, strumento della sua arte, tavolozza con cui ha dipinto il suo masterpiece. Questa recensione, che tra l'altro prova, ma fallisce miseramente nel tentativo di rendere onore al disco, è tutt'al più un modo meno diretto ma (spero) più incisivo per dire a voi, cari lettori DeBaseriani e non: ascoltatelo, vi prego.

Dedicata a Hjhhjij, mai troppo oppressivo nell'esortarmi all'ascolto di questo grande artista (visto che mi piace tirare in ballo i cari utenti come me, nelle recensioni)

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