Ogni tanto qualcuno ti fissa e ti dice “complimenti per la felpa” e tu pensi che non credevi di trovare così tanti fans degli Interpol lì in mezzo. Oppure ti stanno prendendo tutti platealmente per il culo, che è un’eventualità da non scartare.
Finalmente entrate. Il locale si snoda su due piani, ha un arredamento che ricorda un po’ la casa della pazzoide di "Profondo Rosso", un po’ la copertina di "Damnation" degli Opeth e un po’ il saloon de "Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo", deliziosi banchi vendono spille, magliette di rete, roba in similpelle, corpetti, fruste, cd.
I Lia Fail, il gruppo spalla, stanno suonando nel disinteresse generale. La cantante-tastierista è brava, voce limpida e vibrante, il batterista ha la faccia simpatica, dettaglio in realtà poco rilevante dal punto di vista musicale, per il resto l’insieme è scarso e le canzoni sono più o meno tutte uguali. Un tizio vicino a te interamente vestito in latex (più tardi è previsto uno spettacolino bondage nel privé, hai saputo) schiuma, “ma quando cazzo finiscono ‘ste piaghe?”, tre ragazzucce incorpettate&calzearretate si girano e lo guardano malissimo, potrebbe anche scoppiare una rissa ma per fortuna i Lia Fail ringraziano e se ne vanno; il palco viene risistemato, le luci si abbassano di nuovo e finalmente ha inizio l’Evento.
Parte la musica, tra gli applausi e i fischi del pubblico in visibilio, e vedi comparire un tipo dinoccolato con una specie di cappello da cow boy in testa, vestito con una camicetta trasparente dalla quale si intravede, guarda un po’, un corpetto, (a questo punto, decidi, indossare corpetti dev’essere il must della serata), e che saltella di qua e di là con movenze da istrione, ammicca alla volta del pubblico e fa un po’ il personaggio. Quando inizia a cantare scopri che il microfono è bassissimo e non si sente quasi nulla, in più il dinoccolato ha il vezzo, vattelapesca perché, di allontanarselo continuamente dalla bocca per cui anche se qualche fonico o chi per lui si ricordasse, bontà sua, di alzare il volume probabilmente continueresti a non sentire un tubo lo stesso.
Noti (ma forse è il gin lemon) che nelle canzoni indiscutibili sono i richiami alle radici dei Bauhaus sebbene Murphy sembri averne abbandonato i toni più profondamente cupi, quantomeno nelle sonorità perché i testi non li capisci, approdando ad atmosfere leggermente più lievi; batterista, bassista e chitarrista sono affiatati e padroni degli strumenti, i pezzi si susseguono senza soste e vengono affrontati con lo stesso vigore, senza stanchezze di sorta. Pensi che la band non è affatto male e le sonorità di cui sopra ti piacciono abbastanza; saresti, a questo punto, desiderosa di sapere come il tutto si sposi con la voce dell’Icona Zompettante, però il tuo desiderio rimane inesaudito per la maggior parte dell’esibizione.
Ammiri l’Icona giocherellare con una sbarra di (credi) plastica presa chissà dove, girellare languidamente attorno al chitarrista, ballonzolare, prodursi in gesti melodrammatici ma continui a sentirlo a fasi alterne. Le uniche volte che percepisci qualcosa per intero sono quando dice “grahzieee” tra un pezzo e l’altro, poi durante il duetto, inatteso, con la cantante dei Lia Fail, poi nel bis, quando Murphy imbraccia la chitarra e si dà alle ballate, dimostrandoti che la voce ce l’ha eccome ed è ancora bella.
Ti muovi al ritmo di qualche oscura canzonetta gothic nel clima di sbraco da dopoconcerto, poi tu e *c* vi stancate e ve ne tornate verso la macchina. Muto, nel tuo sguardo, aleggia un “…mah…”.
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