Oh, la splendida Petula Clark, l'idea di omaggiarla mi gira per la testa da un po' di tempo, ma in che modo? Di lei esistono decine di best of e raccolte in disco singolo, doppio, triplo eccetera; avevo già abbozzato una "panoramica" standard, qualche nota biografica, parlare di "Downtown", "This Is My Song", "My Love", "Romeo", "Don't Sleep In The Subway", delle sue straordinarie interpretazioni di classici come "The Windmills Of Your Mind" o "Happy Heart"; Sarebbe venuto fuori un discreto pistolotto didascalico e la cosa non mi aggradava neanche un po', meglio cambiare strategia. Dato che la Signora è invecchiata magnificamente ed è ancora attiva sia in studio che live, perchè non recensire "Lost In You" del 2013, il suo ultimo album, in cui, tra le altre cose, coverizza certi "giovinastri" surclassandoli senza appello in termini di eleganza ed intensità espressiva (aiutini di studio o meno, sentire un'ottantenne che canta così è veramente qualcosa che lascia a bocca aperta); già meglio come idea, ma forse c'è qualcosa di ancora più incisivo e personale che posso fare per rendere omaggio a "nonna" Pet.

E allora, perchè non puntare tutte le fiches su una singola canzone, neanche tra le più conosciute peraltro? Eureka, finalmente! Vado a "ripescare", un po' in tutti i sensi, un singolo vecchio di 54 anni: "My Friend The Sea", una hit minore, persa tra le nebbie del tempo, evidentemente ho un debole per le canzoni di queste grandi interpreti sixties che parlano del mare, come ampiamente dimostrato anche da quest'altra meraviglia. Non vi annoierò con una dissertazione tecnica, non ne sarei neanche in grado, voglio solo dire che questa è una delle cose più graziose, è proprio questo l'aggettivo più adatto a descriverla, che mi sia mai capitato di ascoltare. Ho un'immagine nella mia testa, niente più che una piccola "fanfiction", ma chi può dirlo con certezza: Svezia, 1961, l'undicenne Agnetha Faltskog ascolta alla radio "My Friend The Sea" e ne rimane stregata, si fa comprare il disco da papà e comincia a cantare, più e più volte, cercando di imitare in tutto e per tutto lo stile di Petula Clark, dopo un po' di tentativi ci riesce alla grande e, beh, il resto della storia è cosa nota. Questa è fantasia, ma che AF debba tantissimo a Pet mi sembra un dato di fatto, la somiglianza non solo come timbrica ma anche come modo di cantare è evidentissima, stessa grazia argentina, stessa leggera teatralità.

Come ho già detto, preferisco invitare all'ascolto che disquisire a braccio di cori e trombette, però c'è un aspetto di questo adorabile oldie che vorrei analizzare un po' più attentamente, vale a dire il testo. Il testo, ebbene si, questa "umilissima" e totalmente disimpegnata canzonetta easy-listening ha un testo che vale mille dei sermoni di un bel po' di celebratissimi presunti poeti, profeti, ciarlatani e palloni gonfiati che non starò a nominare. "Oh you great ocean so deep, oh you ocean so wide, I feel you are my friend so in you I confide, you know the world, every land, every shore, there's not a place you don't explore, send every wave as it rolls on its way searchin' high, searchin' low, searchin' each little bay, send out a plea to the whole of seven seas, where is the one I adore? My friend the sea be good to me, my love one day sailed far away, my friend the sea, please ask the tide to bring my love on to my side". Originale, e di una tenerezza disarmante; tenerezza non in senso "zuccheroso" ma intesa come candore e ingenuità. Una ragazza che parla con il mare, gli chiede di cercare in ogni suo anfratto, con ogni mezzo possibile, le onde, le maree, i pesci, tu grande oceano che tutto vedi e tutto puoi, riportami indetro il mio amato! "My Friend The Sea" è una canzone è che fa sorridere, in senso strettamente lusinghiero e positivo, fa sorridere e anche sognare, grazie soprattutto al carisma e alla credibilità con cui la interpreta Petula Clark.

"Anche la semplicità ha diritto di esistere": così ha dichiarato un celebre cornutazzo nostro connazionale in qualche imprecisata occasione a proposito della sua "arte" e, con qualche ovvio distinguo, ha perfettamente ragione. La sua "semplicità" ad esempio trova la collocazione migliore in fondo al cesso, ma la Semplicità di Petula Clark, di un pezzo come "My Friend The Sea" non ha tempo nè prezzo. Merita non solo di esistere e di essere tramandata ma soprattutto ogni elogio possibile, quegli elogi che magari si sprecano (e anch'io ne ho sprecati parecchi) per cose più moderne, più celebrate, più adatte per riempircisi la bocca e darsi un tono. Molti della sua generazione sono stati bravi a cavalcare nuove onde, a rinnovarsi e rinnovare la propria immagine, altri sono svaniti più o meno velocemente; nonostante una carriera mai interrotta e l'affetto che tutt'oggi suscita tra gli appassionati, Petula Clark appartiene alla seconda categoria, ma in questo non c'è assolutamente nulla di male, niente che sminuisca in qualche modo il suo indiscutibile talento. Senza voler essere necessariamente nostalgico (di un'epoca che non ho vissuto neanche lontanamente poi...) o bastian contrario solo per il gusto di esserlo, dico che sarebbe una gran bella cosa riscoprire artisti di questo tipo, uscire dai "seminati" dei guru e dei soloni che impongono i soliti nomi "fighi"; ci si sente un po' archeologi, e la soddisfazione nello scoprtire simili tesori dimenticati è ancora più grande.


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