Totò era fatto così. Era un uomo all'antica. Quando, nell'estate del 1965, Pasolini si presenta a casa del Principe, insieme all'amico di sempre Ninetto Davoli, Totò li guarda storcendo il naso. Monarchico, di sani principi, di mentalità sorpassata (in pieni anni Sessanta, alle soglie della rivoluzione, crede ancora nei valori di famiglia, religione, Stato e moralità), Totò non sopporta quell'aria da intellettuale, per giunta di sinistra, tipicamente pasoliniana, e i jean strappati di Davoli. Pasolini gli racconta di un progetto non ancora ben definito, cui Totò dovrebbe prendere parte come attore protagonista. Poche parole, qualche sguardo, e tanta perplessità. Quando Totò congeda i suoi ospiti, nell'elegante casa ai Parioli, ordina alla moglie Franca Faldini di porgergli subito in mano una bomboletta di Flit. Non sopportava quei due anarchici, e voleva disinfettare la casa dal loro nauseabonto (per lui) odore.
Totò aveva recitato per una vita a braccio, senza copione, sfruttando la propria incontenibile verve attoriale. Nel 1956, a seguito di una faticosa tourneé teatrale (abbondamente improvvisata), un dolore agli occhi lo colpisce. Già mezzo cieco da un occhio (a causa della travagliatissima lavorazione di "Totò a colori", 1952, primo film italiano a colori), perde definitivamente la vista. Non completamente cieco, riesce a percepire qualche ombra, distingue i movimenti delle persone che lo circondano, per giungere, piano piano, alla perdita definitiva della vista. Nel 1965, quando incontra Pasolini già non vede quasi più niente. Quando accetta di lavorare col regista per quel progetto di cui aveva capito pochissimo, non vede più nemmeno le ombre.
I
l progetto vede la sua luce intorno ai primi mesi del 1966, e ha un nome: "Uccellacci e uccellini". Pasolini tratta Totò come un bambino, lo segue in ogni movimento, gli fa registare buona parte del film in presa diretta (proibitivo era il doppiaggio, visto le critiche condizioni di salute di Totò), e gli dice passo passo quello che deve fare. Non è il primo film serio a cui Totò partecipa (considerarlo solo un comico è, ancora oggi, un gravissimo errore storico), già ci fu un precedente, nel 1963 col poco noto "Il comandante". Ma è forse questo il primo vero film serio a cui prende parte, quello che lo lancia nel panorama internazionale (a 68 anni suonati, dopo cento film di grandezza assoluta) e che gli regalerà soddisfazioni di tutto rispetto, come la Palma d'oro vinta a Cannes.
"Uccellacci e uccellini" è un film filosofico, forse pure troppo, ma di grande acutezza intellettuale e politica. Partendo dal presupposto puramente pasoliniano secondo cui il sottoproletariato è una costola del proletariato, il film si snoda su più livelli, l'intellettuale-politico, il fiabesco-reale e il critico-sociale. Totò e Ninetto Davoli sono due poveri cristi (padre e figlio) che, parlando apertamente di Vita e Morte, passeggiano quietamente tra le "strade perdute" (Lynch non c'entra nulla) della più squallida periferia romana. Che poi è la periferia del Mondo. A loro si unisce un corvo saccente, presuntuoso, che gli racconta le gesta di Frate Ciccillo e Frate Ninetto obbligati da San Francesco a convertire falchi e passerotti (cioè, vale a dire, gli uccellacci e gli uccellini). Totò e Ninetto Davoli col saio sono impagabili, capaci di esprimere emozioni e sensazioni solamente attraverso l'uso della mimica facciale. Poi si ritorna al presente, con l'anarchia di Totò-Pasolini che va a defecare in mezzo ai campi, si diletta con una puttana (subito imitato dal figlio) e assiste ai funerali di Togliatti. Si riprende il cammino. Ma il corvo ancora ciancia. Padre e figlio, stanchi delle prediche dell'uccellaccio, decidono di mangiarselo.
Gronda di pessimismo questa inquietante favola pasoliniana, ed è il pessimismo di un intellettuale stanco dei propri tempi e del mondo, evidentemente deluso da certa politica e certe lotte di classe. Il corvo, emblematico portatore di una salvezza più umana che divina, non viene ascoltato e viene ucciso. Così come uccisa è la volontà del popolo (che forse però non c'è mai stata) di ribellarsi contro il potere costituito, colpa anche e soprattutto di una sinistra inerme davanti ai problemi del proletariato, più vicina a certi giochetti di potere che al reale sostegno al cittadino comune. Il ruolo dell'intellettuale è pari a zero, è pari al ruolo di un ago in un pagliaio, e poi l'attacco diretto, feroce, al ruolo della Chiesa, chiusa fra i propri doveri cristiani e l'assoluta incapacità di capire ciò che accade fuori dai Palazzi del Potere. L'episodio dei due fraticelli è emblematico. Il ruolo della Chiesa è quello di un anonimo "ordinatore" di leggi che però non capisce che proprie quegli ordini, quelle leggi imposte, non potranno mai concretizzarsi, perchè lo scollamento che esiste (oggi come ieri) tra società e Chiesa è abnorme, quasi impossibile da colmare.
Il futuro è nerissimo, roba da terzomondo, tra pattumiera, umanità allo sfascio e decadenza culturale. Troppo pessimismo? Può darsi, ma ognuno lo interpreti come vuole: tesi a) Pasolini aveva ragione, oggi viviamo in un mondo corrotto, avido, incapace di dare risposte alle parti più deboli del Paese, anche se siamo fra le Nazioni più industrializzate, siamo nella merda più totale perchè uno Stato che non riesce a garantire un futuro alle prossime generazioni (ma pure a quelle di oggi) è rivoltante; tesi b) Pasolini ha sbagliato completamente la mira, oggi tutto sommato si vive bene, tutti possediamo una casa e un conto corrente, abbiamo tutte le comodità del mondo e possiamo andarcene in ferie due o tre volte l'anno. Tutte e due le tesi sono rispettabili. O forse ci vuole ancora un corvo che provi a farci aprire gli occhi sulla realtà delle cose? E se poi, dopo un pò, facessimo la stessa cosa che hanno fatto Totò e Davoli, ucciderlo e mangiarlo? Il mondo è pronto per la rivoluzione? Oggi non lo so, ma Pasolini, nel 1966, optava per il no.
Dopo "Uccellacci e uccellini" Totò e Pasolini diventarono amici. O meglio, Totò diventò amico di Pasolini, visto che il regista lo era sempre stato nei confronti del Principe. Il suo essere gay (un peccato quasi mortale per la clasicissima educazione cristiana che Totò ebbe in tenerissima età), il suo essere di sinistra, o meglio dire marxista, il suo essere culo e camicia con il sottoproletariato delle borgate romane, il suo essere insomma così lontano dai salotti buoni di Totò, col tempo, diventarono per il Principe una nuova scoperta di vita, un nuovo modo di concepire la realtà, prima di lasciare il Pianeta Terra, a 69 anni, nel 1967, dopo soli due intensi anni di collaborazione con Pasolini (con cui girerà alcuni episodi de "Le streghe", e il fondamentale "Che cosa sono le nuvole?" all'interno del film corale "Capriccio all'italiana").
Eppure, i primi tempi in cui i due lavorarono insieme, Totò spesso rimbrottava Pasolini, reo di avergli fatto girare una stessa scena cinque-sei volte. Totò era abituato a registrare una sola scena, un buona la prima sempre e comunque, ma dietro alla macchina da presa c'erano onesti artigiani della Settima Arte come Camillo Mastrocinque o Mario Mattòli, non il genio artistico di Pier Paolo Pasolini. Difatti, ad alcuni giornalisti che lo intervistarono durante le riprese di "Uccellacci e uccellini", Totò disse che indubbiamente Pasolini era un genio, che il film sarebbe stato senza dubbio alcuno un capolavoro, ma di non capire nulla né della sceneggiatura né della storia in sè. Nonostante le iniziali diffidenze, Totò, pur non capendo nulla della trama, decise di darsi anima e corpo alla causa pasoliniana.
Ancora una volta, come sempre, ebbe ragione.
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