Capolavoro della commedia all'italiana del 1961, forma con Sedotta e abbandonata (1963) il dittico siciliano, cui si aggiunge il successivo Signore e signori (1965) in un trittico dedicato alla borghesia.

Straordinario nella rappresentazione espressionisticamente caricata della società siciliana, ancorata pigramente, ma senza convinzione, ai suoi miti e riti, Divorzio è un film dissacrante, brillante, e anche formalmente interessante, per le trovate originali del regista.

Fotografato splendidamente in bianco e nero, questo film infatti è costruito su una geniale alternanza di scene della vita reale e della vita possibile, col barone Ferdinando Cefalù (un grande Marcello Mastroianni) impegnato in fantasticherie apparentemente folli. Non più folli però della realtà, come dimostreranno i fatti.

L'arguta satira qui decolla grazie al supporto di un obsoleto articolo del codice penale, relativo al "delitto d'onore"; ci si muove in quel solo apparentemente angusto spazio tra il lecito e il proibito, nel non codificato; uno spazio in cui le irrigidite "forme" della vita sociale lasciano spazio alla proteiforme "vita", all'ingegno, al sotterfugio, a tutto ciò che si cela dietro le maschere. E non disturbi qui la terminologia critica pirandelliana (se non per la sua convenzionalità), perché realmente ci troviamo nei territori, metaforici e referenziali, dell'autore de Il giuoco delle parti.

Si irridono i ruoli sociali irrigiditi al punto tale da diventare grotteschi, proprio come nei romanzi e nei drammi pirandelliani, anche se in questa forma di umorismo Germi raggiungerà il massimo dell'assurdità e della perfezione con Sedotta e abbandonata. La comicità qui è interpretabile nel famoso senso bergsoniano: fa ridere ciò che non è flessibile, che non è adattabile, che conserva ostinatamente le sue caratteristiche, anche quelle che cozzano violentemente con le circostanze, con la logica, con la natura, con la società.

Il macchinoso piano del barone per eliminare la moglie Rosalia (Daniela Rocca), e poter poi sposare la conturbante Angela (Stefania Sandrelli), è assurdo e quindi comico, ma è la società in cui il barone vive ad essere derisa, perché è proprio essa ad obbligare all'innaturalità, all'irrigidimento, alla fissazione stereotipa delle "parti". Ed è qui il colpo di genio del barone: per distruggere i vincoli che lo opprimono sceglie di esasperarli, per sfruttarli a suo vantaggio. Una grande "lezione" di furbizia, di capacità di adattamento all'interno della microsocietà in cui vive, benché per noi, spettatori e abitanti della macrosocietà, il suo comportamento resti risibile per le motivazioni succitate. Il barone, eroe di una forma di anti-intelligenza (o antieroe dell'intelligenza), può trionfare grazie alla sua disponibilità al gioco dell'immaginazione, seppur con regole che non ha deciso lui, ma che non si sognerebbe affatto di cambiare.

Perché, in fondo, come tutti i siciliani di Germi, è un conservatore e ci è troppo abituato.

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