L'arte e la maniera
Parte prima: La maniera
Il ragazzo porta un vestito nero, gli ricorda di quando – anni fa – prese a nutrire i primi sospetti verso i colori. L'accompagna una minuta ragazza greca, dice che lo fa stare bene. A vent'anni, il ragazzo suonava per strada "Without You I'm Nothing" e stasera porta lo stesso vestito di allora. La ragazza si colorava di nero le labbra e impazziva per "Pure Morning".
Parte una lunga base di "Taste In Men" e durerà 10 minuti. La coreografia scorre via fredda, vistosa, di impatto. Brian Molko non sorride, non guarda, parla poco, si preoccupa che la marca delle sue sigarette sia ben ripresa dai due schermi giganti dell'Arena. Il ragazzo guarda quell'essere minuto e arrogante, truccato come un dandy dark, bello come la notte in cui egli riconobbe "Without You I'm Nothing" nella storia della sua vita, e pensa: "Taste In Men" non durerà in eterno.
Nell'ordine, come una perfetta macchina da palco, il dandy dark esploderà dalla sua chitarra: "The Bitter End" potente e asettica, "Every You And Every Me" nervosa e carica, "Centrefolds" diluita e languida, "Special Needs" ridotta all'osso, una "English Summer Rain" mai tanto fedele ed una "This Picture" arrangiata di maniera.
Tutto d'un fiato, senza tirare il respiro: il ragazzo e la ragazza hanno come l'impressione di essere stati a guardare Mtv. Nessuno spigolo, nessun salto nel vuoto, nessuna emozione che laceri. Brian Molko ha perduto la verginità e – a tratti – colui che canta prende le sembianze di una puttana di professione e di maniera.
Già, la maniera.
Parte seconda: L'arte
Brian Molko rientra in silenzio. L'Arena è in visibilio, 5000 giovani spostati in massa dalle periferie dark di Camden Town ai sobborghi posh di Wembley. Il ragazzo guarda Molko ma non vede granché.
Un attimo di silenzio, si abbassano le luci e un grassissimo Robert Smith sale a sorpresa sul palco, imbraccia goffamente una chitarra e quindi – che Dio li benedica – attaccano "Without You I'm Nothing", e gli occhi del ragazzo ricominciano a brillare. È di me che Smith sta cantando – egli pensa. È una delle immagini che ognuno di noi è destinato a portersi dietro a lungo, la voce di Molko è leggera, sottile, magnifica; quella di Smith potente e profonda.
4 minuti immani e sublimi. Smith si stacca dal microfono, attacca "Boys Don't Cry", feroce, irruenta, punk fin nel midollo. È qui che il ragazzo afferra la ragazza, la spinge verso il centro, sempre più sotto, e quando finalmente è lì davanti, la canzone è finita e nel silenzio si guarda intorno e non scorge nulla.
Sul palco Molko abbraccia quell'elegante grassone fino a fargli male, ed è l'emozione più profonda.
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