Dalla fredda Finlandia, il rock dei 'poeti della caduta'. Iniziando a farsi conoscere nel 2006 al pubblico scandinavo col singolo "Carnival Of Rust" che battè agli EMA's una figura ben più 'pesante' quale Mr. Lordi, i Poets Of The Fall capitanati da Marko Saaresto tornano nel 2010 con "Twilight Theater".
Le prime note da sottolineare sono fondamentalmente due: i POTF sono un gruppo che rimanda molto al pop/rock malinconico da sottofondo, per intenderci, un pò Coldplay e un pò HIM (coi quali condividono la terra d'origine) a differenza però di un particolare, l'etichetta d'appartenenza la Insomniac essendo indipendente, ha un peso specifico di modesto livello, e ciò ha sicuramente influenzato negativamente l'ascesa della band. D'altro canto una delle peculiarità del gruppo è quello di farsi conoscere tramite mezzi non proprio convenzionali, almeno non ai più, con "Twilight Theater" infatti si ripete per la seconda volta un processo di pubblicizzazione tramite video game, come successo già in passato per il brano "Late Goodbye" sponsorizzato tramite il gioco "Max Payne 2", i nostri vedono irrobustire il rapporto col mondo videoludico tramite pezzi come "War" e "Dreaming Wide Awake". Entrambe le canzoni, personalmente le migliori del disco, fanno e da colonna sonora, e da riferimento ad uno degli action game dell'anno per console, "Alan Wake" anch'esso nato e sviluppato in Finlandia, e ciò ha portato la musica dei Poets Of The Fall alla massa come forse mai successo in precedenza.
Tornando al disco, l'apertura è non a caso, con i due pezzi già citati, naturali e melodici, freddi ma convincenti fanno da apripista al piano/rock di "15 min Flame" e "Given And Denied", anch'essi tra i brani più riusciti. Basterebbe questo quartetto di canzoni per constatare che "Twilight Theater" è il migliore disco della band, ormai conosciutissima nell'Europa continentale (il nostro caro 'belpaese' è come sempre un pò in ritardo), ma continuando l'ascolto sorprendono positivamente anche pezzi in acustico quali "Rewind" e "You're Still Here", brani tranquilli e pacati come la loro terra d'origine. L'album chiude col tocco indie di "Smoke And Mirrors" e il piano (soluzione un pò ripetitiva) di "Hell My Wounds". Nel complesso posso constatare che il lato negativo di un album con buone potenzialità come il presente, è proprio la mancanza di soluzioni diverse, parecchi brani infatti risultano essere un pò simili tra loro appiattendo quindi quello che nel globale è un buon disco, tuttavia la qualità dell'album è di livello non indifferente, ascoltare per credere.
Voto 7
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