Io un modo per ritornare adolescente e ricordare la gita del quinto, con tutte le sue emozioni, canne, bevute, strusciate più o meno vestite e via dicendo, ce l'ho a portata di mano nello spazio che ho destinato agli LP.

Primo pallino a favore.

Chi è che suona "Talk dirty to me" che quando la mette il glam-j (consentitemi il neologismo) casca il mondo e sono tutti giù per terra gli uni sugli altri, gli uni sotto gli altri, a farlo sui tavolini, nei cessi, in pista e dove capita mentre tutti quelli senza gallina tra le mani diventano magicamente guitar hero in posa?

Secondo pallino a favore.

Chi è che pur non sapendo fare nulla di veramente eccezionale con gli strumenti in mano ha poi dovuto fare un Greatest Hits in un solo cd pieno zeppo di hit da classifica anni 80 / 90 (di cui 4 da quest'album)?

Terzo pallino a favore.

Chi è che è partito dalla Pennsylvania con lo zaino pieno solo di trucchi e lacca e, una volta a Los Angeles, ha messo in piedi con due dollari un disco ragionato che ha fatto il botto nel senso di boom?

Quarto pallino a favore.

Chi è che è ha capito in maniera intelligente come si potesse fare una musica vendibile anche alle ragazze delle high school facendole innamorare non solo per l'aggressività ma anche per un romanticismo patacca peggio di un rolex dei cinesi?

Quinto pallino a favore.

Questa volta siamo nell'anno dei mondiali in Messico, 1986. A Los Angeles imperversano manierismo class e brutalità shock rock. Ovattati dall'atmosfera positiva e morigerata della east coast arrivano i Poison, band di ragazzi con molta voglia di stupire e mettersi in mostra. E ci riusciranno così bene che il "boa" Bret Michaels riuscirà in tempi non sospetti a timbrare il cartellino a casa Andersson (Pamela).

Una volta messa in piedi la band, i quattro avranno fatto un ragionamento a tavolino, l'ultimo serio della loro vita, prima di iniziare a farsi come caimani zompando di locale in locale sul Sunset. Come facciamo ad essere i più bei travestiti della situazione senza essere demoniaci, rozzi e troppo rudi? Insomma, i nostri erano in cerca di una personalità, di un abito da indossare per non essere come gli altri. La decisione deve essere stata semplice. Immagine cotonata virata sui colori rosa e celeste e look complessivo da icona gay, un po' tipo la prima Raffaella Carrà (non ridete, piuttosto cercatevi na foto), e soprattutto suono street detamarrizzato (Motley Crue, Britny Fox e Tigertaliz senza minacciosità), impiantato su basi rock n' roll e punk.

Così nasce il campione di vendite "Look what the cat dragged in", dove la band tira subito fuori un carattere discolo e ammiccante, in 10 tracce indimenticabili che farebbero muovere le gambe ed il cuore di persone di età compresa tra 0 e 99 anni. La voce di Bret ha una produzione retrò che ricorda molto da vicino i principali prodotti del rn'r americano dei tempi d'oro, la musica scorre fluida, originale e piacevole, con un tasso di coinvolgimento totale.

Non si fa mancare nulla questo album che riesce a sublimare tutte le tendenze che hanno fatto epoca, quell'epoca, e a regalare al pubblico, impacchettata come si deve, una vera e propria moda. Chi non avrebbe voluto somigliare ai Poison?

Proprio quelli dell'ariosa e melodica "Cry Tough", quelli che hanno fatto pogare i due generi rock n' roll e punk nel brano che ho menzionato prima, "Talk dirty to me", quelli che hanno prodotto la felina e street titletrack, per la serie street sì, ma non prendiamoci troppo sul serio, quelli che hanno fatto capire a tutti gli altri come funziona la ballad da n°1 per un anno, "I won't forget you", quelli del ritornello potenziale inno della nazione glamster, "Want some, need some". E questo per citare la metà dei pezzi. Gli altri cinque sono validi e storici altrettanto.

Che poi, cazzo, "I won't forget you" mi ha fatto ricordare della mia compagna di classe che non ha visto niente della Grecia per stare a sbaciucchiarsi con me per tutto il viaggio. Bei tempi per il sottoscritto, bei tempi per i Poison.

Grazie a tutti coloro che non hanno scritto questa recensione prima di me.

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