Preston Reed… premetto che si tratta di un chitarrista ma sono certo che molti di voi non l'hanno mai sentito nominare, in tal caso è consigliata una visitina su YouTube e la visione del video di qualche sua performance. Coloro i quali invece sono a conoscenza del suo stile, non potranno che concordare con la mia visione dei fatti: cacchio quest'uomo è un genio. Difatti ormai la chitarra è uno strumento pluridiffuso, pluriosannato, oserei quasi dire, pur sapendo di estremizzare, che è stato detto tutto.
Solo 40 anni fa si era già a buon punto, la chitarra grazie a gente come Django Reinhardt e Charlie Christian era ormai entrata stabilmente a fare parte del mondo del jazz, oltre ad esser stata già consacrata da un bel pezzo a regina assoluta del blues. Dicevo, 40 fa si era già a buon punto, poi è arrivato Jimi Hendrix e ha stravolto tutto. Rivoluzione. Tutto è cambiato, tutta una successiva generazione di chitarristi ispirati dal suo genio ha stravolto il mondo della musica: la chitarra diventa uno strumento funanbolico, affascinante, trasgressivo, simbolo della allora nascente e ormai decadente tradizione hard-rock ed heavy metal. Poi Van Halen e la sua Eruption: nasce il guitar hero. Ormai i grandi chitarristi jazz rock blues non si contano più, ognuno di loro ha dato un apporto importante alla storia, aggiunto qualcosa, migliorato qualcos'altro. I sopracitati guitar heros che vanno tanto di moda adesso, anche se la loro popolarità mi pare già in calo, hanno ulteriormente allargato, praticamente all'infinito, gli orizzonti chitarristici, la chitarra diventa strumento capace di produrre qualsiasi suono e qualsiasi emozione. Cosa ci resta da aggiungere a noi nuove generazioni??? Gli astri nascenti della chitarra odierna infatti tornano al passato: il neoclassico, il gypsy jazz che ritorna di moda, le "novità" come Joe Bonamassa o Eric Sardina tornano al sound di B.B. King nel primo caso e propongono una miscela blues hard rock nel secondo (non mi fermo a giudicare).
Sono sempre di più, d'altra parte, quelli che reagiscono inventandosi un nuovo stile: Stanley Jordan suona la chitarra elettrica come fosse un piano (anche qui per chi non lo conoscesse è consigliato un giretto su YouTube..) e il nostro Preston Reed fa di più: suona la chitarra acustica con una tecnica tapping/percussiva che gli permette di unire melodie per lo più folkeggianti con una base di accompagnamento percussivo ottenuto colpendo il manico stesso o la cassa (beh data la mia analisi sarete più invogliati ad andare a vedervi qualche video, è molto difficile descrivere il sound ritmato che si ottiene… ). E pur essendo l'unico, credo, ad adottare questa tecnica, ha iniziato nel 1982 ed ha già una discepola: la giovanissima Kaki King, americana prodigio che è già una star. Dopo questa lunga parentesi che, lo confesso, costituisce la parte più importante della recensione e per la quale il disco è in parte un semplice pretesto, passo alla disamina dell'album in questione.
Come detto, le melodie di questo "Ladies Night", sesta uscita discografica dell'artista, sono per lo più a sfondo folk, difficile definirle, di sicuro sono pezzi ritmati ed orecchiabili, a partire dalla titletrack nonchè opener Ladies Night, costituita da un giro ritmico-melodico decisamente trascinante, ricorda un pò qualche pezzo blues con bottleneck in alcune sonorità. Molto bella la terza traccia Hijacker, con repentini cambi di atmosfera, molto melodica. Stupenda la dolce e riflessiva Somehow We'll Make It Home, una magnifica ed introspettiva ballata, uno di quei pezzi che non possono far altro che indurre a pensare e riflettere, più significativi ed espressivi di mille parole, come d'altronde la successiva Mermaid Eyes e Pacific, forse quest'ultima delle tre ballate quella che mi ha più colpito, niente valanghe di note come nei suoi pezzi più tosti, ma poche note al punto giusto, la cosa più importante che un chitarrista o un musicista in genere deve saper fare, a mio parere. Questo conferma la straordinaria versatilità di questo artista. Anche perchè, dopo un così dolce pezzo, cosa trovi? La penultima traccia, Raimaker, introdotta e intermezzata da un assolo di percussioni sulla cassa della chitarra da fare invidia al Mule dei Deep Purple, straordinario per un chitarrista.
E infine la (in)degna conclusione, l'unico pezzo cantato del disco.. mah non posso dire che mi convinca appieno, non mi sembrava ce ne fosse bisogno, però non rovina affatto l'impressione finale sul disco, è solo una mia personalissima opinione.
Concludendo, credo che sia un gran bel disco in quanto a qualità della musica suonata, pur tralasciando il come viene suonata, cosa che non può che aumentare la stima nei confronti di un artista che ha trovato la sua strada, e anche una considerevole popolarità, facendo qualcosa di radicalmente diverso da tutti, inventandosi una tecnica nuova di pacca. Tanto di cappello!
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