1986: L'anno della rinascita.

Lydon vince la causa legale contro McLaren sull'eredità dei Sex Pistols. Il senso di freschezza interiore che il cantante ha dentro di sè in quel periodo non può che non influenzare anche il nuovo materiale in progettazione. Per fare le cose in grande quindi, questa volta il nostro ha messo in piedi una super band d'eccezione: il chitarrista Steve Vai (Whitesnake, David Lee Roth band, Frank Zappa), i batteristi Ginger Baker (Cream) e Tony Williams, Ryuichi Sakamoto (tastiere), il bassita Jonas Hellborg (John McLaughlin band) e vari altri artisti. Il tutto sotto la produzione di Bill Laswell.

L'inizio è dominato dalla velocità: "F.F.F.", brano tirato e rockeggiante come mai in casa P.I.L. si era udito. Una voce Punk come nella migliore tradizione Rotteniana, la bizzarra chitarra solista di Vai a metallizzare un pò la situazione e una sezione ritmica trascinante, dritta, macchinosa. L'esatto opposto di ciò sta nella successiva "Rise", la punta di diamante del disco. Qui siamo nel Pop, ne più ne meno. Johnny sà destreggiarsi bene nel ritonello e distinguersi come al solito nel semi-rap delle strofe, con un fare lagnoso, stridulo ma originale. Steve Vai impreziosisce le trame del brano e non è mai troppo invadente, anche a causa del contesto poco virtuoso in cui è stato collocato.

Si prosegue più che degnamente sui binari di "Fishing" e di "Round", 2 song semplici e particolari dove Lydon riesce a mostrare la raggiunta maturità. Benchè siamo lontani dalla sperimentaizone degli esordi, il cantante si è rimesso in discussione con un sound potente e ricercato, diretto ma alternativo nella concezione, con molteplici influenze a colorare l'arrangiamento e l'interpretazione. Merito di quanto detto sopra è la presenza della produzione di Bill Laswell, storico bassista Dub e produttore underground molto rinomato (Afrika Bambaataa, Sly e Robbie, Ramones, Iggy Pop), nonchè instancabile collaboratore di altri artisti di fama internazionale (Praxis, Brian Eno, David Byrne).

La sua presenza è fondamentale anche in fase di songwriting, come testimonia il singolo "Home"; base compatta e battente, predica vocale e ritornello che esplode in una melodia inaspettata, subito mangiata da un assolo di chitarra dissonante e malato. La conclusiva "Ease" è un'altra prova di un sound multiforme, che non esclude escursioni più meditate (un pò etniche) e mantiene coerenza: un pregio notevole in questo disco eterogeneo.

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